Mark Zuckerberg ha risposto entusiasticamente alla domanda se Facebook stia lavorando attualmente su progetti di realtà aumentata.
A chi gliel’ha posta, durante una convention a S.Francisco, il giovane SEO ha risposto semplicemente “Si”.
Le intenzioni di Facebook erano apparse chiare fin dall’acquisto di Oculus, la start up che ha prodotto attualmente uno dei migliori dispositivi di realtà virtuale. E le parole adoperate da Michael Abrash, a capo del progetto Oculus, non lasciano spazio a dubbi: la realtà virtuale è in dirittura d’arrivo. C’è un po’ di tempo in più da attendere per la realtà aumentata, ma è chiaro che un giorno molto vicino ci saranno dispositivi indossabili che permetteranno un collegamento costante con la rete e l’aumento dell’esperienza degli utenti in una direzione molto più immersiva e completa.
La realtà aumentata rappresenta per Facebook un’opportunità molto speciale: “Facebook è un modo per dare alle persone una voce da condividere con gli altri. La realtà aumentata potrebbe fornire esperienze ancora più personali e intense da mostrare agli altri”.
E’ molto interessante: è qualcosa che useremmo tutti se funzionasse a dovere
Le implicazioni di un Facebook basato sulla realtà aumentate sono enormi ed è facilissimo immaginarle: immaginate una persona che cammina per la strada e “pesa” in tempo reale il gradimento che le sue azioni generano tra le persone di sua conoscenza. Ok, ho fatto un esempio agghiacciante, ma non inverosimile. Facebook smetterebbe di essere il “luogo” nel quale condividere le esperienze e inizierebbe a diventare la “lente” attraverso la quale le persone guardano il mondo e si guardano a vicenda.
Facebook, d’altra parte, non è l’unica azienda che lavora alla realtà aumentata, e ci sono già le prime vittime eccellenti come Magic Leap, finanziata e poi abbandonata da Google. A proposito: che ne è del Glass? Sembra che i tempi per lui non siano ancora perfettamente maturi e forse non lo saranno mai: l’orizzonte ha colori diversi, e la “Big F” di Zuckerberg potrebbe precedere la “Big G” di Page e Brin.
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