E’ un periodo davvero complicato sul piano geopolitico: un passaggio epocale verso il mondo futuro che quasi impone le dinamiche dei network sociali anche alle entità politiche.
Quello che accade in Siria (e in altre nazioni ad essa confinanti) ha tutta l’aria di essere un passaggio da un mondo di “Stati nazione” ad un mondo di “Nazioni senza Stato”. Non è l’unico indizio di un cambiamento: altri fattori sconosciuti che determinano la cittadinanza o l’appartenenza ad un territorio stanno modificandosi. In Estonia, ad esempio, è stato già avviato il primo progetto di E-Residency, un programma che attribuisce a chi ne fa richiesta la “residenza elettronica”. Si richiede in rete e consente l’accesso ad una serie di servizi online: è possibile aprire un conto corrente in banca, oppure avviare una nuova società commerciale anche senza risiedere fisicamente in Estonia.
Allo stesso modo l’emersione delle valute virtuali (come il Bitcoin) inizia ad insidiare il monopolio degli Stati sull’emissione di moneta, e nuove forme di tecnologia per il trasferimento di somme in queste nuove criptovalute darà sempre più filo da torcere ai tradizionali campi di competenza dei governi. Nazioni senza stato, popoli senza stato, sempre di più.
E’ una chiarissima conseguenza dell’avvento di internet, che ha già allargato moltissimo il confine delle nostre “frequentazioni” e delle nostre attività. Possiamo facilmente fare amicizia con persone dall’altra parte del mondo che condividono i nostri interessi, e comprare o vendere pressochè qualsiasi cosa in tutto il mondo. Su piattaforme come Freelancer.com o Fiverr possiamo offrire servizi lavorativi a basso costo, e ricevere il pagamento direttamente, senza recarci in una banca o in ufficio postale.
E’ chiaro che istituzioni come gli Stati “Moderni”, nate di fatto nel 1600, devono prepararsi dopo quasi 500 anni a cedere la parola “moderno” e con essa il passo ad inevitabili adattamenti che non si prospettano limitati.
Lo “Stato Nazione” non durerà in eterno. E’ frutto di una precisa fase storica, è stato concepito per un certo tipo di società, e per un certo tipo di economia che difficilmente dureranno a lungo: anche l’Impero Romano, e quello Egizio sono stati fondati per sfidare i secoli e per durare in eterno, ma inevitabilmente sono stati sostituiti sotto i colpi dei cambiamenti economici e sociali. E il Feudalesimo? E la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, che rifiutando il dominio Inglese ha costituito la nascita di ciò che oggi chiamiamo “Occidente democratico”? Che ne è, QUANTO ne è di tutto questo?
La Storia, chiedo, si ferma qui o proseguirà nel 21esimo secolo con un altro salto in avanti, un’altra Magna Carta, un’altra Dichiarazione di Indipendenza, qualcosa di nuovo e differente?
In tanti credono che il miglior modo di adattarsi ad un mondo globalizzato sia quello di globalizzare il concetto di Stato, o come sostiene qualcuno negli USA, “globalizzare la democrazia”. Potrebbe essere un grave errore. I problemi portati dal Feudalesimo, e poi dal tentativo di controllo dell’Inghilterra sulle colonie Americane non era di tipo amministrativo, militare, o logistico. Era un problema MORALE. Ciò che ha definito di fatto uno Stato fino ad oggi è stato il “monopolio” sulle attività delle persone, e sulla loro partecipazione all’interno di una precisa area geografica. Cercare semplicemente di costruire un recinto più grande, grande quanto l’intero mondo se il mondo si globalizza, è applicare una strategia vecchia di quasi 500 anni senza comprendere il modello e i cambiamenti in atto.
Internet ci porta ad un traguardo completamente diverso: un mondo non territoriale, interconnesso e policentrico, a partecipazione volontaria. Non si tratta più di luoghi fisici sostenuti da tasse pagate da chi vi risiede, ma sistemi nei quali si può entrare e dai quali si può uscire in ogni momento, indipendentemente dalla propria posizione fisica. Un sistema nel quale Nazioni senza Stato competano tra loro offrendo ai possibili “cittadini” la migliore giustizia, uguaglianza, democrazia di cui dispongono. Invece di diversi “partiti” e fazioni che lottano tra loro per guidare uno stato centrale, un mondo di persone con diversi punti di vista che può entrare in comunità di intenti, o uscirne, secondo i propri propositi. Un futuro nel quale le persone sono chiamate a partecipare direttamente alla costruzione del proprio mondo, e verificare in poco tempo la bontà o l’inefficacia delle loro idee.
Il diritto di chiamarsi fuori: not in my name
Suona un po’ radicale, ma un cambiamento del genere richiederà l’introduzione di nuovi strumenti, e forse quella nuova “Magna Carta” che ci si attende dal 21esimo secolo sarà semplicemente il diritto riconosciuto ad “uscire” da uno Stato nella piena libertà. Esercitiamo questo diritto in piccolo ogni volta che scegliamo di disiscriverci da un servizio, da un bollettino informativo, da un’associazione. Potrebbe essere cruciale estendere questa possibilità. Se non vi sembra cruciale il “diritto di uscirne”, riflettete sulla Costituzione Americana. Sui rischi che comporta. O su quella Italiana, e su come sia stata travisata e mortificata.
Nel primo caso, la Costituzione realizzava un governo dai poteri limitati, circoscritti e sintetizzati nei primi 10 emendamenti altrimenti noti come “Dichiarazione dei Diritti” (Bill of Rights). Nell’arco di circa 200 anni questa Costituzione ha prodotto il più grande e tentacolare sistema governativo della storia umana, con l’esercito più armato e con un debito dell’ordine di 19 000 000 000 000 000 000 di dollari. Diciannove TRILIONI di dollari.
Non credo sia andata come previsto.
In Italia? La Costituzione, molto più recente, mirava a garantire la libera rappresentanza politica, il diritto al lavoro e ad altri principi fondamentali, ma tutti o quasi tutti i suoi enunciati sono stati compromessi da persone che non vedono oltre il loro naso e da gruppi di potere.
La frustrazione dei popoli del mondo appare ancora più marcata quando si rendono conto che interi sistemi di debito, che tendono a tagliare col tempo i diritti elementari alla salute, all’istruzione, al lavoro, vengono retti da economie che si basano sulla produzione di armi e sulla speculazione finanziaria. Quante guerre in nome dei cittadini del mondo sono state intraprese? Quante con il loro consenso, quante senza? Il diritto di chiamarsi fuori da questi sistemi è una concreta possibilità di proteggere le generazioni future da vere e proprie tirannie che dietro una facciata “democratica” finiscono per ridurre in schiavitù il loro popolo, chiudendolo in un “recinto” territoriale o economico. Uno dei nuovi diritti umani da sancire deve, dovrà essere quello a far parte o a non far parte, per scelta, di un sistema politico nel quale ci si riconosce o non ci si riconosce. Questa libertà potrà creare una “libera concorrenza” di Nazioni senza Stato, che concorrano tra loro nell’offrire più democrazia a cittadini che vogliono raggiungere.
Sarà molto difficile, ma non impossibile
L’avvento di questi cambiamenti, i cui indizi osserviamo già oggi, produrrà inevitabili e forti resistenze (mi vengono in mente le battaglie che oggi i gruppi del trasporto privato fanno per evitare la crescita di aziende come Uber). Torniamo per un attimo ai “fatti Siriani” : la ‘guerra al terrorismo’ iniziata negli anni 90 con la prima guerra del Golfo, questa ricerca di un “nemico comune” è il tipico metodo adoperato dalle società che sentono vicina la loro dissoluzione: è il tentativo di compattare i popoli in nome di un “obiettivo più grande”, o di un “bene più grande”. Molte persone potrebbero contrastare la paura del cambiamento legandosi ancora di più alle nazioni “tradizionali”, per motivi emotivi, culturali o pratici. Il punto non è impedire loro di farlo. Il punto è permettere loro, per legge, di lasciare questi sistemi quando vogliono, per contribuire a comunità diverse e giurisdizioni parallele e non territoriali.
Questa è la sfida più grande che la nuova generazione dei Millennials ha davanti per cambiare completamente il volto di questo mondo e costruirne, si spera, uno migliore.