I ricercatori dell’Università di San Francisco hanno sviluppato un’interfaccia neurale che permette a pazienti senza l’uso della parola di “parlare” attraverso il dispositivo.
Si tratta di una pietra miliare nel campo delle protesi neurali: il sistema monitora l’attività del cervello e la converte in parole utilizzando una voce artificiale (come quelle degli assistenti vocali Google o Amazon, per intenderci). Il software è avanzatissimo e contempla una accurata ricostruzione virtuale di laringe, lingua, labbra e mascella.
Perchè si perde la parola?
I pazienti perdono la capacità di parlare per un mucchio di motivi: malattie degenerative, incidenti o danni cerebrali. Le tecnologie già in uso permettono ad alcuni di pronunciare qualche parola “traducendo” piccoli movimenti facciali o adoperando altri meccanismi che rendono in ogni caso molto lunga e laboriosa la comunicazione.
L’interfaccia neurale studiata a San Francisco traduce direttamente l’attività cerebrale in linguaggio dal suono naturale, adoperando una infrastruttura che “mima” il modo in cui i centri del linguaggio coordinano i movimenti del tratto vocale.
In che consiste?
Per questo il team ha creato un tratto vocale “virtuale” che sfrutta il machine learning per produrre via via suoni sempre più corretti. Un gruppo di volontari pronuncia specifiche frasi mentre la loro attività cerebrale viene monitorata: l’intelligenza artificiale impiegata scansiona questi segnali e li confronta con i movimenti del tratto vocale per capire esattamente come si traducono in quel suono specifico.
“Abbiamo la possibilità di mimare perfettamente il linguaggio parlato,” dice Josh Chartier, un altro dei ricercatori. “Siamo già in fase molto avanzata per i suoni più lenti o dolci, come ‘sh’ o ‘z’, ma abbiamo delle difficoltà su quelli tronci tipo ‘b’ e ‘p’. Il livello di accuratezza però aumenta a velocità soprendente grazie all’utilizzo del machine learning”.
“Le persone che non possono muovere braccia e gambe hanno imparato a controllare protesi robotiche col cervello,” prosegue Chartier. “Siamo fiduciosi che un giorno persone con disabilità di parola impareranno nuovamente a parlare attraverso questa protesi vocale”.
Pubblicato su Nature