In chirurgia vige il concetto di “golden hour”: stabilizzare un ferito nel più breve tempo possibile può fare la differenza tra la vita e la morte.
Lo scopo di TRACIR (questo il nome del sistema allo studio, commissionato dalla Difesa americana a due università) è di ridurre il tempo di attesa per un trattamento, e intervenire immediatamente su un ferito per stabilizzarlo il tempo necessario prima di un ricovero: il risultato finale sarà una sorta di “armatura robotica di primo soccorso” nella quale posizionare il ferito.
All’interno di questa armatura una serie di sensori monitorerà costantemente le funzioni vitali del ferito e somministrerà cure iniettando medicamenti nel suo corpo. Il machine learning aiuterà TRACIR a tenere in vita e stabilizzare i feriti durante il trasporto in ospedale o in condizioni nelle quali è impossibile l’evacuazione.
“Ciascuno degli esperti coinvolti ha una visione di come dovrebbe essere questo sistema,” spiega Artur Dubrawski, ricercatore di Robotica alla Carnegie Mellon, “ma tutti concordiamo sul fatto che dovrà essere totalmente o quasi totalmente autonomo, una sorta di zaino contenente una armatura da far indossare o da sistemare sul ferito. Ogni genere di supporto a questo sistema dovrà poter essere fornito anche da chi non ha alcuna nozione medica”.
È un progetto davvero ambizioso, da raggiungere a piccoli passi: la tecnologia creata dovrà essere in grado di effettuare da sola iniezioni o tracheotomie: parte delle nozioni necessarie verrà da un algoritmo di AI che analizzerà gli oltre 5000 traumi di guerra registrati dalla Pittsburgh School of Medicine.
Poi, come accade di frequente, l’applicazione concepita per l’uso militare troverà applicazione anche nella vita civile: “TRACIR potrà essere trasportato da droni in zone selvagge o tratti impervi di montagna, sarà utile sulle navi, nelle zone rurali lontane da ospedali o durante disastri naturali,” dice Dubrawski. “E un giorno, magari, sarà adoperato dagli astronauti su Marte”.