L’impatto dell’uomo sulla foresta pluviale indonesiana (inclusi gli incendi) rappresenta un pericolo mortale per una delle specie più vicine, quella degli orangutan.
Appena lo scorso luglio l’orango del Borneo è stato sistemato nell’elenco delle specie in pericolo serio di estinzione insieme all’orango di Sumatra.
La causa non è una pandemia, né i cambiamenti climatici. Non c’è un predatore, non ci sono cause di sterilità. Siamo noi. È colpa nostra, al 100%.
L’orango del Borneo vive nelle foreste dell’Indonesia che vengono brutalmente sostituite da piantagioni commerciali di palma da olio fin dal 1994. Per intenderci, ad oggi un’area grande come l’intera Germania (31 milioni di ettari) è stata scippata alla foresta.
Se vi state chiedendo come può essere così disperato un paese per eliminare da solo le sue uniche risorse naturali, la risposta è proprio nell’industria dell’olio di palma. Un’industria lucrativa come poche, perché l’olio di palma è praticamente ovunque: dai biscotti al pane, dalla pizza alle creme spalmabili.
E a dispetto delle aziende “virtuose” che lo stanno escludendo dai prodotti, iniziamo a vederlo anche in dentifrici, shampoo, perfino nel biodiesel.
I maggiori brand come Johnson & Johnson, PepsiCo e Colgate-Palmolive sono ancora sul banco degli imputati per la completa indifferenza verso i risultati della deforestazione.
Ma è davvero così economico l’olio di palma? I costi sul pianeta sono compresi nel conteggio? E quelli sulla biodiversità? Sul piano ambientale l’impiego di questa materia prima non ha alcun senso logico.
Eppure la logica non ha spazio, in Indonesia come in Brasile, considerato il fatto che la maggior parte degli incendi nelle rispettive foreste ha origine dolosa a scopo di lucro. “Se la distruzione continuerà a questa velocità, non c’è alcun9a speranza per gli oranghi selvatici. Al massimo abbiamo 10 anni prima della loro totale estinzione,” spiegano le associazioni ambientali.
I pericolo incombe
Quello che rende certa l’estinzione degli oranghi è la loro caratteristica di specie “a crescita lenta”. Sono in grado di dare alla luce figli solo ogni 8 anni, dopo 10 mesi di gestazione, e impiegano anni a far crescere e far diventare indipendenti i giovani esemplari. La perdita di vite avviene a velocità pazzesca rispetto alla possibilità di ripopolarsi.
Il loro habitat scompare. Bruciano letteralmente nella loro casa, o devono scappare entrando in contatto con altre specie, costretti a competere in un habitat che non li appartiene. Per questo si moltiplicano “incontri” anche in aree popolate dall’uomo e gli oranghi vengono scacciati, colpiti, spesso attaccati e uccisi deliberatamente.
Ecco perché non mi stupisce l’annuncio dell’inclusione dell’orango del Borneo tra le specie in pericolo di estinzione da parte dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN).
È chiaro, il tempo sta per scadere.
Quella degli oranghi è una delle 4 specie di grandi scimmie insieme a gorilla, scimpanzé e bonobo, e l’unica presente in Asia. L’unica tra le 4 in grado di fornire prove sulle origini del linguaggio parlato: alcuni esemplari in cattività mostrano la capacità di mimare ritmi e timbri della voce umana.
Creature uniche, incredibili, così vicine a noi nell’albero genealogico dell’evoluzione. E stanno per svanire nel nulla, in un altro olocausto animale. Una tragedia difficile da evitare, ma ancora evitabile.