Ai piedi della centrale nucleare Dai-ichi di Fukushima c’è un grattacapo incredibile per i vertici dell’impianto e per il governo Giapponese: un mare di acqua contaminata da elementi radioattivi.
Si, perché la “riserva” dell’acqua radioattiva di Fukushima cresce ogni giorno di 150.000 litri: cosa farne? Il problema scatena aspro dibattito con sortite a volte crudeli e surreali, come la recente proposta di gettare tutto nell’oceano “dopo una severa decontaminazione”.
Le sorgenti del male
L’acqua proviene da diverse fonti: un po’ è usata per il raffreddamento della centrale, necessario dopo che un’onda di tsunami l’ha travolta nel marzo 2011. Altra acqua che filtra dall’esterno e l’inevitabile pioggia peggiorano ulteriormente il problema.
Un migliaio di fusti ha rimpiazzato molti degli alberi di ciliegio che circondavano l’impianto: ciascuno di loro raccoglie 1200 litri, molti di loro sono già pieni.
“Ne costruiremo molti altri fino al termine del 2020, e pensiamo che alla fine saranno tutti pieni entro l’estate del 2022,” dice Junichi Matsumoto, il responsabile TEPCO per lo smantellamento del sito nucleare.
TEPCO ha dapprima cercato di coprire, poi di fronteggiare i problemi prendendo ogni sorta di misura per limitare l’acqua che passa attraverso la centrale.
Tra questi un imponente sistema di filtraggio che ogni giorno pompa tonnellate di acqua contaminata attraverso varie membrane per togliere loro più radioattività possibile.
Altamente tossica
L’hangar dove avviene il processo di decontaminazione è contrassegnato come “Zona Y” ed ha sevessime misure di sicurezza.
Chiunque acceda all’area ha bisogno di una forte protezione: una tuta intera, tre strati di calze speciali, tre strati di guanti, un doppio cappello ed un elmetto, scarpe speciali maschera con respiratore e impermeabile con un dosimetro.
Tutta la dotazione viene bruciata dopo l’uso. Uno scenario che rende impossibile non fare correlazioni con Chernobyl.
“I filtri stessi contengono radionuclidi,” spiegano alla TEPCO. Negli anni l’acqua è spesso passata nuovamente attraverso i filtri perché un solo passaggio non bastava.
Una nuova versione dei filtri è più efficace, rimuove o riduce circa 50 radionuclidi a livelli accettabili per L’AIEA.
Quasi tutti meno uno
Un radionuclides però resta, e non può essere rimosso con la tecnologia che abbiamo. Il Trizio.
L’AIEA sostiene che se diluita con acqua di mare, l’acqua di Fukushima può essere rilasciata nell’oceano perché i suoi livelli si ridurrebbero e il danno sarebbe piuttosto contenuto.
Le rassicurazioni non convincono
Nell’area di Fukushima le parole dell’AIEA non calmano la situazione, specie quella della locale industria della pesca già provata dal gigantesco danno di immagine subito a causa dell’incidente nucleare.
Kyoichi Kamiyama, direttore del Dipartimento di ricerca sulla radioattività del governo Regionale sottolinea i patimenti che i pescatori di Fukushima subiscono da 8 anni.
“Gettare quell’acqua nell’oceano? Sono assolutamente contrario,” ha dichiarato in un’intervista all’Associated France Press.
A livello nazionale la situazione non è meno ingarbugliata
Dopo le improvvide uscite del Ministro dell’Ambiente (!!) su uno scarico in mare dell’acqua di Fukushima, un portavoce del Ministro dell’Industria ha reiterato con toni più morbidi: “Vogliamo capire come minimizzare il danno di un potenziale scarico in mare per la reputazione della Regione e dei prodotti di Fukushima,”.
Non ci sono ancora decisioni, comunque, neanche a medio termine: il percorso del prossimo anno porterà dritto alle Olimpiadi in Giappone ed è meglio salvaguardare l’immagine internazionale, anche perchè le associazioni ambientaliste sono sul piede di guerra.