Dalla nostra prospettiva dei primi decenni del 21° secolo siamo tutti d’accordo sul fatto che i computer (e molti altri dispositivi) rappresentino una minaccia seria alla nostra privacy. Il nostro mondo è così interconnesso dalle macchine che seguendo le nostre impronte “digitali” aziende, governi e chissà chi altro possono trovare tutte le informazioni che vogliono su praticamente chiunque.
Non era così negli anni ’80, al punto che anche il cofondatore di Apple Steve Jobs dava baldanzose interviste alla ABC nelle quali rassicurava gli ansiosi americani che no, l’ avvento dei computer non avrebbe rappresentato alcun problema di privacy. Steve Jobs Privacy Apple. Rileggete lentamente. Ma cosa vi viene in mente, sciocchini.
Il dialogo col giornalista Ted Koppel (è su YouTube ma ve lo piazzo qui) si apre con un formidabile spaccato del periodo, anche se tutti i 12 minuti del video valgono davvero la pena.
Lo spunto è un problema informatico a Cape Canaveral e prosegue con l’elenco di tutte le rivoluzioni che i computer avrebbero portato nel 1981. Tra le varie “magnifiche sorti e progressive,” per citare Leopardi, si menzionano più volte i problemi che i computer avrebbero potuto portare alla privacy.
Per fortuna c’è Steve
Jobs è lì per rassicurare tutti: i computer libereranno l’umanità, rendendoci liberi di fare cose più creative. I computer, dice, “saranno la bicicletta del 21° secolo” e renderanno fisicamente e mentalmente più sana la nostra società.
La domanda di Koppel
“C’è una diffusa sensazione tra quelli che non sanno come funzioni un computer o cosa possa fare per noi. È la paura che i computer prendano il controllo delle nostre vite. È un pericolo reale?” chiede Koppel a Jobs.
La risposta di Jobs
“Beh, come sai, quando molta gente vede per la prima volta il prodotto che realizziamo non pensa neanche che sia un computer. Pesa appena 5 chili (!), puoi lanciarlo da una finestra se le cose non vanno bene. Eppure pensa che rivoluzione tecnologica ci porteranno, rendendo democratiche cose che oggi sono centralizzate. È come quando gli operai tedeschi che prendevano il treno poterono acquistare tutti una Volkswagen.”
Un altro ospite di Koppel, il giornalista investigativo David Burnham, (oggi 86enne), è più cauto e solleva interrogativi sul futuro dei computer. Teme che possano costituire strumenti di controllo delle masse, e finiscano per spiare le vite delle persone. Evoca scenari di 40 anni prima, quando l’FBI nel 1941 ha censito gli americani di origini giapponesi per internarli in campi di detenzione. Evoca scenari lugubri.
“Il governo ha la capacità di usare i computer per ricavare informazioni su di noi, perfino cose che non pensiamo siano conoscibili,” insiste Koppel. “Non è pericoloso?” ripete a Jobs.
“Beh, credo che la protezione e migliore contro qualcosa del genere sia maggiore consapevolezza degli strumenti informatici,” risponde Jobs. “E questa consapevolezza aumenterà. Nell’era del personal computer è una consapevolezza che ha uno ogni centinaia di migliaia di persone, e credo che nei prossimi 5 o 6 anni raggiungerà una persona su 10, almeno negli Stati Uniti. Alla fine ognuno avrà un PC”.
L’ottimismo, Gianni
“Sapere che sempre più persone conosceranno gli strumenti informatici mi rassicura, perché so che l’intelligenza centralizzata avrà meno effetto sulle nostre vite”.
Jobs ha anticipato fedelmente molti aspetti degli anni successivi, ma sulla privacy ha visto giusto?
Anche Burnham coglie aspetti che solo oggi stiamo osservando con chiarezza. Ed è interessante come le entusiastiche ed ottimistiche previsioni di Jobs, uno che ha promosso i suoi prodotti “contro il pensiero dominante”, non abbiano temuto che la diffusione dei computer avrebbe dato a quel “pensiero dominante” più