Per più di 60 anni il pacemaker (il piccolo aggeggio impiantato nel torace per inviare impulsi elettrici al cuore) ha fatto il suo dovere, producendo un po’ di battito ai cuori che non riuscivano a fare da soli.
Il dispositivo ha prolungato la vita di moltissimi pazienti (nella sua versione “estrema”, L’ECMO, addirittura mette in pausa la morte). Anche il migliore dei pacemaker ignora, purtuttavia, un semplice fatto: i cuori sani non battono precisi come metronomi. Accelerano quando inspiriamo, decelerano quando espiriamo. Basandosi su questa variazione naturale detta “aritmia respiratoria sinusale” gli scienziati di tutto il mondo stanno realizzando un pacemaker bionico.
“I dispositivi devono ascoltare i feedback del corpo. Abbiamo bisogno di strumenti più intelligenti,” dice Julian Paton, professore all’Università di Bristol in Inghilterra e a capo di diverse ricerche in questo campo.
In un paper pubblicato questa settimana sul Journal of Physiology, Paton e i suoi colleghi descrivono un pacemaker bionico che segue i ritmi naturali del cuore, compensando quelli affaticati in modo più efficiente.
Il dispositivo “legge” i segnali elettrici forniti dalla respirazione di ciascuno, e regola il battito cardiaco di conseguenza. In altre parole, si adatta perfettamente al personale ritmo di ciascuno.
Nei test sui topi con insufficienza cardiaca, il dispositivo aumenta del 20% il sangue che il cuore riesce a pompare rispetto ai pacemaker tradizionali.
Molto avanti rispetto al presente
Gli attuali pacemaker cercano di adattarsi ai cambiamenti in modo piuttosto antiquato, con l’uso di accelerometri o sensori di temperatura corporea. Alcuni nuovi dispositivi iniziano ad affacciarsi alla respirazione, ma si regolano solo in base ad un “campione” periodico di respirazione registrata. “Noi stiamo modulando il pacemaker cibernetico intorno alla differente e unica respirazione che ha ciascuno di noi,” precisa Paton.
Il cuore del pacemaker cibernetico? È una mente
Il dispositivo alla base del pacemaker bionico sfrutta un chip analogico basato su una rete neurale e sviluppato dal co-autore dello studio, Alain Nogaret dell’Università di Bath. Nei test sui topi, ha registrato l’attività elettrica dai muscoli del diaframma, che si contraggono durante la respirazione. Il chip ha interpretato i segnali e li ha tradotti in conseguenti azioni di stimolazione elettrica dell’atrio sinistro del cuore, per farlo battere in “cooperazione” con la respirazione.
Il vantaggio di usare un chip analogico è che non ci sono mediazioni, e può rispondere rapidamente ai cambiamenti del corpo: il dispositivo può essere miniaturizzato e raggiungere le dimensioni di un francobollo.
I progressi possibili
Se i test sugli umani confermeranno le buone premesse di quelli sui topi, dice Paton, non ci sarà bisogno di registrare i segnali del muscolo diaframmatico: basterà integrare il chip nei pacemaker già esistenti.