Nel 2016 Nayeon, la figlia di sette anni di Jang Ji-sung, è morta di una malattia incurabile. Tre anni dopo, la madre sudcoreana ha potuto rivedere la sua bimba in un mondo virtuale creato per un documentario televisivo.
Sul suo profilo Youtube la TV Middle East Broadcasting Center ha condiviso una clip tratta dal suo documentario speciale chiamato “I Met You“, che esplora l’affascinante possibilità di ricostruire e ritrovare i defunti in realtà virtuale.
Nella clip, Jang si trova di fronte a un enorme schermo verde mentre indossa un visore VR ed una sorta di guanti tattili. In una scena successiva, la donna e sua figlia parlano, si tengono per mano e partecipano persino a una festa di compleanno con tanto di torta.
L’incontro tra la madre e la sua bimba è, come ci si potrebbe aspettare, estremamente emotivo. Jang sembra iniziare a piangere nel momento stesso in cui vede la Nayeon “virtuale”, mentre il resto della famiglia (il padre, il fratello e la sorella della bimba) osserva l’incontro con espressioni tristi e lacrime occasionali.
“Ho incontrato Nayeon, che mi ha chiamato con un sorriso, per un tempo molto breve, ma molto felice. Penso di aver realizzato un sogno,” ha poi dichiarato la donna con grande emozione.
Paradiso virtuale
Il team di produzione ha impiegato otto mesi per raggiungere questo risultato. Ha progettato il parco virtuale a partire da uno che la madre e la figlia avevano visitato nel mondo reale e hanno usato la tecnologia di motion capture per registrare i movimenti di un attore bambino da utilizzare come modello per la Nayeon virtuale.
In sintesi: il processo potrebbe non essere semplice e il prodotto finale potrebbe non essere perfetto, ma ora abbiamo la tecnologia per ricreare i morti in VR, in modo tanto convincente da far piangere i loro cari.
Le implicazioni? Impossibili da prevedere.
Quanto possiamo essere lontani da una piattaforma che consente a chiunque di caricare filmati di una persona amata deceduta e poi interagire con una versione virtuale di quella persona? Decenni? Anni? Mesi?
E che tipo di impatto avrà sul processo di elaborazione di un lutto? Ritrovare i defunti in realtà virtuale aiuterà le persone a voltare pagina e andare avanti più serenamente? Qualcuno diventerà dipendente da questo mondo virtuale, trascorrendo sempre più tempo coi morti e sempre meno coi vivi?
E, sul lungo termine, ci fermeremo alla realtà virtuale? O è solo il primo passo verso androidi progettati per imitare i nostri cari nell’aspetto e nella personalità, come in “Torna da me“, l’inquietante e intenso episodio della serie distopica Black Mirror?
Diverse startup stanno gettando le basi per quel futuro, compilando dati di persone sia vive che morte per creare “avatar digitali” di quelle persone. Altre aziende stanno già costruendo cloni di robot di persone reali.
La chiave perché ritrovare i defunti in VR sia un’esperienza positiva e non un incubo distopico alla Black Mirror sarà nella nostra capacità critica. La persona che amiamo non c’è più. Accettare l’equivalente virtuale per quello che è, cioè una forma di memoria confortante, permetterà in modo etico di trarre benefici perfino terapeutici.
Michael Graziano, neurologo e neuroscienziato di Princeton approva questa possibilità. Magari subordinandola ad un ciclo di incontri psicologici che permetta al “vivo” di avvicinarsi con serenità all’incontro con una proiezione così realistica di qualcuno che non c’è più.
È un territorio decisamente inesplorato, ma ci siamo entrati ufficialmente.