Sappiamo poco su come finirà la pandemia di COVID-19, soprattutto in termini di numero di morti e di effetti sull’economia globale. Ma una cosa sembra emergere: il coronavirus sta agendo come un acceleratore, e la vita dopo il coronavirus sarà profondamente diversa.
Creerà un mondo molto più frammentato, decentralizzato e devoluto in cui paradossalmente ci sentiremo più connessi che mai, pur mantenendo la nostra distanza letterale e simbolica gli uni dagli altri.
Tra un anno (e anche un decennio) vivremo, impareremo e lavoreremo online molto più di quanto facciamo ora.
In breve, le innovazioni rapide
Benvenuti nel 21° secolo che abbiamo sognato già 30 anni fa, ma non abbiamo mai avuto l’energia o la concentrazione per implementare realmente.
Dagli anni ’90, i campioni della cultura digitale e di quello che allora era chiamato cyberspazio “vedevano” un mondo in cui tutti potessero entrare senza privilegi o pregiudizi accordati da razza, potere economico, forza militare o stazione di nascita”.
I primi numeri di Wired promettevano una pacifica “Rivoluzione digitale” che avrebbe cambiato le nostre vite e creato nuovi mondi reali e virtuali.
Nel 1990 George Gilder nel suo libro “La vita dopo la televisione” parlava di macchine in rete che chiamava “telelavoratori” e sognava un mondo in cui le gerarchie politiche e aziendali sarebbero state distrutte dagli utenti.
Sarebbero saltati le intermediazioni e gli ostacoli di politica, tecnologia ed economia centralizzata. I “telelavoratori” avrebbero rivitalizzato “la famiglia, la religione, l’istruzione, l’arte” e avrebbero “tramandato una nuova civiltà alle nuove generazioni”.
C’eravamo quasi riusciti
Gran parte di tutto ciò è diventato realtà in alcune forme riconoscibili. Con l’ascesa di Internet e della sua interfaccia, il World Wide Web come piattaforma globale, il mondo è diventato molto più inclusivo e tutti i partecipanti, anche i più poveri tra noi, hanno più opzioni e più controllo su come lavoriamo, cosa consumiamo e come ci relazioniamo tra noi.
Ad essere onesti, però, non è andata esattamente come volevamo. Il futuro digitale è metaforicamente fermo nel nostro salotto come un aggeggio complicato che, una volta acquistato, viene acceso di rado e ora serve ad appoggiarci i panni.
La nostra risposta al coronavirus cambierà la nostra storia.
La nostra risposta a COVID-19 ha il potenziale per cambiare tutto. I cambiamenti che seguiranno la fine di questa crisi potrebbero cambiare radicalmente il modo in cui lavoriamo, studiamo, riceviamo assistenza medica, facciamo acquisti e consumiamo cultura.
Didattica a distanza
Oltre 30 paesi del mondo hanno già chiuso le scuole di ogni ordine e grado, cercando di organizzare programmi di apprendimento a distanza per salvare la continuità didattica e il diritto di istruzione. Ancora non sappiamo se l’anno scolastico è già finito o no.
Le istituzioni educative a tutti i livelli stanno lottando per aumentare la loro capacità di trasmettere in streaming le lezioni. Non è solo un problema di larghezza di banda, ma di preparazione dei docenti su come insegnare, e degli studenti su come imparare via Internet.
Si, l’apprendimento a distanza è cresciuto a dal 2000 ad oggi, ma meno del 6% di tutti gli studenti pubblici frequenta la maggior parte dei corsi online. Ci sono tutte le ragioni per credere che una volta che avranno un’idea della flessibilità e delle offerte disponibili, questi numeri aumenteranno sostanzialmente.
La ministra dell’istruzione Lucia Azzolina e quella dell’innovazione Paola Pisano stanno lavorando parallelamente per garantire a studenti e lavoratori (almeno a quelli che possono) di assolvere i loro impegni su internet.
Lavoro a distanza
Per tantissimi giornalisti e freelance lavorare da casa non è una novità. Io stesso ho lavorato diversi anni da casa. Ma ciò che molti lavoratori della “gig economy” danno per scontato è tutt’altro che comune. Mentre la percentuale di telelavoro dei lavoratori è aumentata costantemente negli ultimi 20 o più anni, solo il 3,6% dei lavoratori “attualmente lavora a casa almeno part-time”.
Eppure oltre la metà di tutti i dipendenti ha un lavoro in cui almeno parte di ciò che fa potrebbe essere svolto in remoto. I video e le teleconferenze gratuiti abilitati da servizi come Google o Skype stanno esplodendo e non si fermeranno quando tutti saranno negativi per la malattia. È impensabile che lavorare da casa non guadagnerà molto in popolarità (sia tra i lavoratori che tra i dirigenti) anche quando potremo tornare ai nostri luoghi di lavoro tradizionali.
Acquisti a distanza
Anche la nostra vita di consumatori cambierà definitivamente, per beni e servizi sia banali che importanti.
Telemedicina
Negli ultimi anni, ad esempio, la telemedicina è cresciuta in popolarità, soprattutto per i servizi di consulenza, ma rappresenta ancora meno dell’1% delle opzioni. La vita dopo il coronavirus vedrà un aumento esponenziale di questi servizi, specie legati alla consulenza medica. Pratiche che verranno favorite ed incoraggiate.
Sport e spettacoli
Il cinema e il calcio hanno sofferto a lungo del declino delle presenze, poiché proliferano televisori a schermo piatto e sistemi audio di alta qualità a buon mercato e i servizi di streaming hanno iniziato a offrire la maggior parte di ciò che volevamo ogni volta che lo volevamo.
Anche se il numero di multisala e di pellicole hanno continuato a crescere, sempre meno persone compravano i biglietti per una serata fuori. Naturalmente, una volta riaperte, le persone torneranno al cinema e allo stadio, ma probabilmente in numero ancora minore.
E-commerce
COVID-19 ha fatto esplodere ulteriormente gli acquisti su Amazon. Il colosso della vendita al dettaglio online sta assumendo altri 100.000 lavoratori in USA per soddisfare la domanda delle prossime settimane (o mesi). Accanto ai prodotti di sempre, in aumento anche i servizi di consegna di generi alimentari online.
Anche prima dell’epidemia, le attività commerciali andavano a gonfie vele online, con vendite più che raddoppiate tra il 2016 e il 2018, pur servendo meno del 10% dei clienti.
Da almeno un decennio il trionfo dell’e-commerce era solo una teoria. Ebbene, lo scorso mese di febbraio le vendite online hanno battuto di poco i negozi di merci generiche, inclusi grandi magazzini, club di magazzino e centri commerciali. Se parliamo di acquisti come case, automobili e pasti pronti, il commercio tradizionale supera ancora quello online, ma questo sta cambiando rapidamente, e dopo il coronavirus il commercio online correrà. Accedere o ad esperienze completamente online per acquistare automobili, ed anche annunci e tour virtuali delle case si sposteranno massicciamente online.
Urbanizzazione
La tendenza a concentrarci nelle grandi città potrebbe subire una decisa inversione. Nella vita dopo il coronavirus emergeranno nuovi modelli di suburbanizzazione, e forse l’idea di “distanziamento sociale” ispirerà quella di “distanziamento urbano”. La vita nelle piccole città sarà più attraente quando i beni e le offerte culturali una volta disponibili solo nelle grandi città saranno resi prontamente disponibili online o con la consegna in giornata. Aggiungete il fattore paura delle popolazioni dense e delle infezioni e capirete che COVID-19 potrà accelerare la dissipazione delle aree urbane.
Istituzioni
In tutto il mondo governi locali, statali e federali stanno attuando misure di emergenza mai viste prima in tempo di pace. Sindaci e governatori hanno dichiarato stati di emergenza e chiuso bar, palestre e parchi, ponendo limiti al numero di persone che possono riunirsi. Eppure questi stessi leader stanno anche allentando regole di vecchia data, almeno temporaneamente. Oggi in Italia la laurea in medicina è diventata già abilitante. Per terminare un anno scolastico non è più necessario un limite minimo di 200 giorni di presenza. L’AIFA, notoriamente prudente sull’approvazione di sperimentazioni sui farmaci ora ha permesso quasi all’istante un nuovo protocollo di un farmaco che combatte i sintomi del coronavirus.
È solo un esempio. Se il passato è un prologo, i governi di tutti i livelli saranno lenti a rinunciare al potere che stanno attualmente esercitando, ma il peso dell’opinione pubblica e degli esempi tratti dalla nostra vita lavorativa, culturale e commerciale potrebbe rivelarsi un contrappeso efficace.
La vita dopo il coronavirus
Da più parti si sussurrano ipotesi e tempistiche sulla fine di questo incubo. Almeno della sua fase acuta. In Italia si immagina un po’ di tregua da giugno, in USA Trump ha previsto che a luglio passerà la crisi.
In realtà il Coronavirus probabilmente cambierà i prossimi decenni tanto quanto gli attacchi dell’11 settembre e la crisi finanziaria del 2008 hanno cambiato gli ultimi 20 anni. La vita dopo il coronavirus sarà una vita “prodotta” dal coronavirus.
Guardando indietro alle risposte culturali, economiche e politiche a quegli eventi, è difficile dire che il mondo abbia reagito saggiamente. Le guerre in Afghanistan e Iraq, il riscatto della finanza e delle banche nonostante il disastro dei subprime. Come società, piuttosto che riunirci, siamo diventati sempre più polarizzati e diffidenti verso le istituzioni pubbliche e private. Quelle dinamiche, per quanto prevedibili, hanno solo peggiorato le cose.
Stavolta ci troviamo su una soglia diversa. Siamo più stanchi e più diffidenti che mai. Una parte di noi sa in fondo che una forte risposta alla pandemia alla fine si basa più sulle nostre azioni come individui che sull’azione dei leader mondiali.
Ad ogni modo, lo scenario più ottimistico è quello che porta al futuro che immaginiamo da 30 anni. Il sogno di un mondo in cui tutti saremo in grado di partecipare più pienamente, esprimerci in modo più convincente e vivere come e dove desideriamo.
Ironia della sorte, il passaggio sarà forzato da una pandemia globale. Una crisi che molti (secondo me non a torto) stanno confrontando con l’epidemia di influenza spagnola del 1918, uno degli eventi distintivi del 20° secolo.
Oggi la vita dopo il coronavirus, dopo tutto il suo carico di morte, potrebbe evocare il futuro che non abbiamo saputo costruire prima.