La vita è cambiata molto negli ultimi giorni, settimane o mesi, a seconda di dove vivete. Qui in Italia, ad esempio, il passaggio si misura in mesi. Man mano che aumentano gli sforzi per contenere il nuovo coronavirus, è probabile che il mondo dopo il coronavirus cambierà ancora di più. Si, siamo già stufi di essere a casa tutto il tempo, ci mancano i nostri amici e le nostre famiglie, tutto è stato cancellato, l’economia è in crisi e ci sentiamo ansiosi e spaventati per ciò che ci aspetta. Vogliamo solo che questo finisca, e pensiamo che sia solo una questione di tempo. Stiamo facendo piani per quello che faremo quando le cose torneranno alla normalità e puntando su ciò che accade.
E se la vita invece non tornasse più del tutto al modo in cui era prima del coronavirus? E se questa epidemia fosse una svolta, e se dopo di essa il mondo non sarà più lo stesso? Per essere disperatamente ottimisti: e se il mondo potesse uscire da questa crisi meglio di prima? Follia? Chissà.
Le lezioni dalla Storia
Per molti di noi, l’evento geopolitico di maggiore impatto accaduto durante la nostra vita è stato l’11 settembre 2001. Il mondo è cambiato quel giorno e non è mai tornato come prima. Una pandemia simil-influenzale con un tasso di mortalità relativamente basso può sembrare minore rispetto all’omicidio deliberato di migliaia di persone innocenti. In realtà questo non è il 2001. È qualcosa di molto più grande. Somiglia molto più al 1941.
Il 1941 fu il pieno apice della seconda guerra mondiale. Nessuno sapeva quale sarebbe stato il risultato della guerra, tutti erano terrorizzati, gli alleati (tra i quali ovviamente non c’era ancora l’Italia) stavano perdendo la guerra. Ma anche nel pieno di quei tempi più bui la gente ha iniziato a immaginare come sarebbe stato il mondo futuro.
Era il 1941 quando il presidente Roosevelt tenne il suo famoso discorso sulle quattro libertà. Era il 1941 quando fu varata la Carta atlantica, che esponeva una visione per l’ordine internazionale del dopoguerra. La situazione in cui ci troviamo adesso è, ovviamente, diversa; non è una guerra. È più l’occasione di una convergenza di scienza, biologia e geopolitica. E mentre la crisi del coronavirus è ancora in corso, le sue implicazioni future saranno gigantesche.
Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.
Antonio Gramsci
L’ordine mondiale seguente alla Seconda Guerra Mondiale era già in crisi fortissima prima del coronavirus. I legislatori e i pianificatori del dopoguerra immaginarono un mondo che condividesse la sovranità tendendo ad un minor nazionalismo. Oggi siamo in un periodo di drammatica ri-nazionalizzazione del mondo. Ci sono leader più o meno autoritari, più o meno monocratici dal Brasile agli USA, dalla Turchia alla Cina, dalla Russia agli Emirati Arabi, dall’Iran all’Ungheria e molti altri.
Le istituzioni intese a favorire la cooperazione globale (come la Banca mondiale, il FMI, l’ONU, l’OMS) sono state praticamente fagocitate. La conseguenza è che non abbiamo strutture efficaci per affrontare le crisi globali, non solo il coronavirus. Pensate ai cambiamenti climatici, alla protezione degli oceani, alla preparazione ad un futuro di automazione e AI: nessun paese può affrontare o risolvere in modo indipendente queste enormi sfide.
Non tutto è perduto, però.
Quando la pandemia di influenza spagnola colpì nel 1918 c’erano solo 2 miliardi di persone sulla Terra e di quei 2 miliardi solo il 30% era scolarizzato. I “cervelli istruiti” che dovevano far fronte al problema erano in tutto 600 milioni.
Oggi c’è una popolazione globale di 7,5 miliardi e un tasso di alfabetizzazione dell’86%. Questo significa che oltre 6,5 miliardi di persone possono far parte (ovviamente a vario titolo, non sono tutti medici o virologi!) dello sforzo per riparare ciò che è rotto. Altro elemento fondamentale: siamo più connessi tra loro noi di quanto non lo siamo mai stati. Ci sono voluti migliaia di anni per il trasferimento delle conoscenze: ora possono viaggiare in tempo reale in tutto il mondo su Internet. La pandemia si muove alla velocità della globalizzazione, ma anche la risposta. Le armi che stiamo usando in questa battaglia sono più grandi di qualsiasi cosa che i nostri antenati avrebbero potuto immaginare.
Ora è il momento dei mostri
Mentre viviamo, in casa e ai balconi, questa incredibile energia dal basso, stiamo anche osservando abissali fallimenti nel comportamento di molte istituzioni verticali. Avete avuto paura in questi ultimi giorni e settimane? Io si, chi mi conosce lo sa. L’economia sta entrando in crisi profonda. L’Italia può perdere 100 miliardi di euro al mese con questo lockdown. Le persone possono perdere il lavoro, ammalarsi e non sapere quanto durerà.
Ci sarà un rallentamento o una recessione economica, ci saranno problemi con i nostri sistemi sanitari. E queste sono solo le cose prevedibili. Se vogliamo spingerci a fare ipotesi (e credetemi, nessuno può dire quali siano assurde e quali no), se le aree più povere del mondo vengono colpite duramente dal virus, potremmo vedere crollare stati fragili o anche multilaterali. Una profonda crisi da coronavirus in Africa, per dirne una, potrebbe rappresentare il crollo dell’Unione Europea come la conosciamo. Le nostre (fragili) democrazie verranno messe alla prova. Per questo, comunque vada, il mondo dopo il coronavirus sarà diverso.
Il nuovo mondo lotta per nascere
Non sappiamo esattamente come sarà quel mondo dopo il coronavirus, ma possiamo immaginarlo. Fondamentalmente, prendiamo le tendenze che erano già in movimento e premiamo “fast forward”. Virtualizzazione di eventi, attività e interazioni. Automazione di processi e servizi. Decentramento politico ed economico.
Ma ora è il 1941. Ora è il momento in cui dobbiamo pensare a come vorremmo che il nuovo mondo assomigliasse e iniziare a progettarlo e costruirlo. Dipende da noi. Con il senno di poi, è facile immaginare una risposta migliore di quella che abbiamo dato al coronavirus. D’altra parte gli avvisi erano lì da anni. E se, tre mesi fa, fosse stato istituito un sistema di sorveglianza globale e ai primi segni dell’epidemia, una squadra internazionale di emergenza guidata dall’OMS si fosse immediatamente recata a Wuhan?
Dobbiamo rinforzare un sistema globale in grado di coinvolgere le persone in modo inclusivo anche nel rispetto delle differenze tra i paesi. Ora c’è una totale mancanza di una visione positiva a lungo termine. Gli obiettivi dell’ONU sullo sviluppo sostenibile , ad esempio, richiedono a livello globale l’uguaglianza di genere, nessuna povertà , nessuna fame, lavoro dignitoso, azioni per il clima e per la giustizia. Non abbiamo istituzioni abbastanza forti per attuare questi principi: c’è troppo scarto tra la natura di questi problemi e la struttura della nostra politica.
Il mondo dopo il coronavirus: costruire la nuova normalità
Proprio come la nostra “vecchia normalità” fu una novità per i nostri nonni (il mio nel 1941 aveva 29 anni), il mondo dopo il coronavirus che ci sembra così scioccante sarà semplicemente normale per i nostri figli e nipoti. Ma ci sono alcune differenze tra la metà del 1900 e oggi.
Abbiamo persone più istruite, connessioni più forti, una condivisione più rapida delle informazioni e più strumenti tecnologici e conoscenze scientifiche che mai nella storia. Il numero di persone che possono far parte di questa conversazione è senza precedenti. Non avremmo potuto farlo nell’era industriale o persino nell’era nucleare. Non c’è mai stato questo tipo di motivazione unita a questa capacità in tutto il mondo.
Nel 1941, il processo di pianificazione globale era dall’alto verso il basso: un piccolo gruppo di persone potenti e intelligenti ha deciso come sarebbero andate le cose, e ha preso provvedimenti per rendere la loro visione una realtà. Ma questa volta dovrà diverso; per avere successo, il mondo dopo il coronavirus ha bisogno di un nuovo piano globale. Un piano che abbia una spinta significativa dal basso verso l’alto.