Perché le teorie economiche standard non hanno risposte a questo tipo di crisi.
La pandemia di coronavirus ha sconvolto drammaticamente i modelli sociali e l’economia quotidiana delle società di tutto il mondo. Gli economisti stanno focalizzandosi sull’economia e su ciò che le banche centrali e i governi dovrebbero fare in risposta a un’interruzione simultanea insolita della domanda e dell’offerta. C’è consenso sul fatto che i governi dovranno sostenere le imprese e i lavoratori che stanno perdendo reddito (o rischiare pericolosi effetti a catena sulle banche e sull’economia reale) e trovare un modo per finanziare queste spese.
È urgente intensificare la produzione di prodotti essenziali come ventilatori, guanti e maschere. Serve fornire letti d’ospedale. Indispensabile garantire che il personale necessario possa lavorare in sicurezza. Nonostante l’interruzione delle catene di approvvigionamento e le restrizioni alla popolazione, devono essere forniti beni essenziali e servizi di base.
Queste circostanze sollevano questioni fondamentali sul ruolo del mercato e del settore pubblico. Specie nel fare ciò che è necessario sulla scala richiesta e con sufficiente velocità. Alcuni pensatori economici stanno giustamente attaccando questi problemi con urgenza.
Ma il coronavirus ci richiede anche di ripensare l’economia fin dalla base.
La disciplina economica ha fornito il quadro più influente per pensare alle politiche pubbliche, ma si è dimostrata inadeguata sia nel preparare l’attuale emergenza sia nel farvi fronte. La pandemia di coronavirus sottolinea la necessità di un ripensamento delle nostre idee sull’economia tradizionale e indica alcune direzioni che questo ripensamento dovrebbe prendere.
L’interesse pubblico e la scelta razionale
Gli economisti convenzionali concepiscono le azioni degli individui che propagano una malattia infettiva come “un’esternalità” sotto forma di rischio di infezione. Può essere ragionevole per un individuo giudicare che un’interazione con un altro individuo specifico sia a rischio per entrambi. Non c’è molto da dire qui. Il problema arriva dopo. Le esternalità possono essere tali che alcuni ne sono danneggiati o che tutti ne sono danneggiati. L’attuale pandemia riguarda aspetti di entrambi questi casi, ma in entrambi i casi è necessario un ripensamento.
Poiché i tassi di mortalità derivanti dall’attuale pandemia sono enormemente più grandi per gli anziani, e i giovani spesso subiscono piccoli danni diretti rispetto ai benefici che ricevono da una vita ininterrotta, un quadro per fare le scelte di salute pubblica nell’attuale pandemia deve andare oltre la questione di sapere se tutto può essere migliorato e intraprendere invece confronti interpersonali di benessere per determinare se i benefici di un’azione specifica per alcuni superano le perdite per altri. La maggior parte degli economisti convenzionali evita studiosamente tali confronti, concentrandosi invece su considerazioni di efficienza che classificano i risultati solo in base al fatto che tutti siano migliorati da una linea di condotta. In questa situazione, un tale approccio non ci porterà da nessuna parte.
L’economista Lionel Robbins ha notoriamente attaccato i confronti interpersonali come questioni del tipo “mors tua, vita mea”. Ma in questo caso potrebbe trattarsi di “mors tua, salus mea”, intesa come benessere. I confronti interpersonali ci consentono di giudicare se eventuali ulteriori perdite di vita di alcuni possano essere considerate superiori ai disagi e ai danni economici o sociali, eventualmente anche gravi, subiti da altri.
Una pandemia ci consente di capire perché è assolutamente necessario, anche se tutt’altro che semplice, valutare gli interessi delle diverse persone.
Tali confronti possono ovviamente essere complessi. Nel migliore dei casi, una deliberata deliberazione pubblica su di essi può fornire una certa legittimità sociale e politica. Decisioni drastiche di Europa e USA per arginare la pandemia finora sembrano aver guadagnato il sostegno pubblico, senza troppe polemiche. Ma alla fine è inevitabile la deliberazione della società in merito ai pesi da attribuire a interessi diversi. Non solo per ottenerli aderenti, ma per garantire che vengano fatti dei giusti compromessi.
Se esiste un motivo per avere restrizioni alla vita quotidiana in atto per un periodo prolungato, deve essere basato sulla volontà di ponderare gli interessi di persone diverse ed eventualmente confliggenti. Il caso della requisizione di risorse private (strutture mediche, edifici o proprietà intellettuali riguardanti prodotti farmaceutici, progetti di ventilatori) al fine di servire lo scopo pubblico immediato di combattere la pandemia è lampante. Può essere meglio compreso in termini di eccezionali ma ragionevoli compromessi tra gli interessi vitali di alcuni e gli interessi meno vitali di altri.
La volontà e la capacità di intraprendere tali compromessi è inerente al concetto di interesse pubblico.
A un livello più basilare, la pandemia di coronavirus mostra anche l’inadeguatezza della comprensione della razionalità individuale da parte dell’economia tradizionale. In una certa misura, il controllo di una pandemia mira a evitare risultati dannosi per tutti, almeno tra coloro che sono posizionati in modo simile in termini di rischi della malattia. Per raggiungere il risultato collettivo non è necessario discostarsi dalla razionalità individuale, come suggerirebbe il quadro standard (come, ad esempio, nel famoso esempio del dilemma del prigioniero). Piuttosto, richiede di vedere la razionalità individuale in modo diverso e più espansivo di quanto gli economisti abbiano preferito.
Questa non è una nuova idea.
Anche prima del coronavirus i critici della stretta comprensione della razionalità in economia hanno da tempo sottolineato la necessità di comprendere le interdipendenze strategiche da una prospettiva più ampia. Per esempio quella di interesse personale illuminato (concetto avanzato da Adam Smith e riconosciuto da Alexis de Tocqueville ma in gran parte caduto in disuso). Allo stesso modo, i filosofi morali, in particolare Immanuel Kant, hanno sottolineato che un approccio ragionato alla moralità richiedeva la valutazione delle proprie azioni in base al modo in cui sarebbero state giudicate se intraprese da altri. Tutti questi pensatori credevano che la razionalità, correttamente compresa, dovesse includere ragioni che portano via dalla ricerca implacabile e miope del vantaggio individuale.
Solo con questo approccio più completo alla razionalità si può fare appello in modo significativo al rispetto volontario dei requisiti del bene sociale.
È interessante notare che nel modello più utilizzato dai responsabili politici per la loro risposta all’attuale crisi è stata assunta solo una parziale osservanza delle restrizioni sociali. Sebbene il rispetto di tali restrizioni possa essere motivato dalla paura della punizione o dal rispetto per l’autorità, può anche derivare da un allineamento volontario. In entrambi i casi, la situazione attuale richiede che i responsabili politici vadano oltre la ristretta cassetta degli attrezzi della teoria economica tradizionale per giustificare e motivare il rispetto delle misure di salute pubblica che diminuiscono la libertà individuale.
Incertezza, giudizio e giustificazione
Un secondo motivo per cui il pensiero economico convenzionale offre una guida molto limitata nella presente situazione è l’incertezza. Gli economisti hanno da tempo fatto la distinzione tra incertezza e rischio. L’incertezza è generalmente intesa come esito implicito che non può essere assegnato direttamente a una probabilità, a differenza del rischio. L’economia offre risorse limitate per capire come prendere decisioni in presenza di incertezza fondamentale. Ma una forma ancora più profonda di incertezza è quella in cui i possibili risultati non possono essere facilmente previsti. Un risultato così selvaggiamente imprevedibile è diventato popolare negli ultimi anni come un cosiddetto “cigno nero”.
La pandemia di coronavirus potrebbe inizialmente sembrare un evento simile a un cigno nero, ma non è così: la possibilità di una tale minaccia è stata a lungo riconosciuta dagli esperti e prevista da tanti, anche da anni, anche con precisione. Questo riconoscimento ha portato alla discussione di scenari ai massimi livelli dei governi.
La prospettiva di una pandemia da coronavirus comportava quindi un’incertezza fondamentale del primo tipo: un evento che poteva essere anticipato (anzi, era previsto) anche se non si poteva sapere quando e in che forma sarebbe successo.
Detto questo, ora sembra ovvio che la relativa infrastruttura sanitaria pubblica sia stata gravemente trascurata. Ad esempio, a livello globale, l’OMS, che svolge un ruolo centrale nella sorveglianza e nella risposta alle malattie emergenti, potrebbe non essere stata finanziata in modo adeguato . È una questione diversa che anche l’OMS sia stata accusata di una scarsa risposta iniziale alla pandemia. Così anche le infrastrutture sanitarie nazionali e regionali in molti paesi, compresa l’Italia.
Appiattire la curva
La natura fondamentalmente incerta dell’evoluzione della pandemia dà origine a continui dilemmi profondi sulla cosiddetta risposta razionale dell’economia all’attuale emergenza del coronavirus. Considerate la metafora di “appiattire la curva”. I potenziali risultati di misure come la chiusura di scuole e università, ristoranti e bar e il distanziamento sociale sono stati sostenuti da simulazioni che sono, inevitabilmente, basate su ipotesi specifiche e prove limitate e che si concentrano principalmente su un obiettivo: evitare i decessi per malattia. La motivazione si basa sulla direzione prevista del loro impatto, ma quale effetto reale avranno, diretto o indiretto nella società è sconosciuto.
L’inadeguatezza dei modelli esistenti porta a un ragionevole disaccordo sulla giusta linea d’azione.
Gli effetti della chiusura dei confini e la chiusura di molti aspetti della vita quotidiana ricadono su altri aspetti della salute fisica. L’economia del coronavirus ha effetti sulla salute mentale, sulla socialità, sulla prosperità economica. Ci sono anche effetti su finanze pubbliche, istruzione, nascite, tasso di mortalità. Tutti questi fattori si aggiungono all’incertezza. Ognuno di questi si riferisce agli altri in modi complessi. Gli effetti di tali politiche sono difficili da conoscere. Alcuni effetti delle politiche possono essere persistenti o permanenti. Altri possono essere temporanei ma altamente distruttivi. Le plausibili catene di causalità sono diverse.
Il compianto sociologo Ulrich Beck, che ha parlato dell’emergere di una “società a rischio” che ha generato “mali” e “beni”, distribuiti secondo catene di causalità spesso sconosciute o inconoscibili, non era lontano dal segno. La necessità di adottare misure adeguate per bloccare la malattia deve essere bilanciata dalla nostra consapevolezza che non sappiamo e non possiamo sapere tutto ciò che dobbiamo sapere per prendere decisioni informate. Sebbene un’emergenza sanitaria pubblica metta in evidenza la necessità di poteri esecutivi e la necessità di competenze, sottolinea anche i loro limiti. In un contesto democratico, le decisioni pubbliche devono essere sostenute da sentenze in grado, alla luce del giorno, di essere sostenute dalla ragione e sostenute dalla deliberazione sociale. Il giudizio deve quindi essere combinato con la giustificazione.
La natura incerta dell’impatto del coronavirus e della sua evoluzione influenzerà l’economia del settore privato, e questo a sua volta deve essere preso in considerazione dalle politiche pubbliche.
Il famoso paradosso di Ellsberg ha dimostrato che gli individui hanno un’avversione all’incertezza. In una situazione in cui sia lo “spazio di stato” che descrive i possibili eventi sia la probabilità di essere collegati a ciascuno di questi eventi sono sconosciuti, l’elemento emotivo nel processo decisionale è importante. Gli “spiriti animali” degli investitori vengono alla ribalta. Ad esempio, sebbene vi siano ragioni razionali per il crollo del sentimento del mercato a causa della pandemia, le enormi fluttuazioni quotidiane dei prezzi delle azioni a seguito delle sue conseguenze sembrano essere una forma di volatilità in eccesso che non può essere pienamente compresa come razionale.
La politica pubblica in risposta alla pandemia deve concentrarsi sulla fornitura di un’ancora e di una garanzia agli attori privati.
Ciò può creare aspettative di stabilità in modo che gli attori privati continuino a spendere e investire, pianificare la fine dell’emergenza per la salute pubblica ed evitare azioni che potrebbero creare effetti negativi, come licenziare i lavoratori . Il panico è esso stesso un fattore di rischio e può essere innescato da azioni pubbliche sbagliate o calmato da quelle giuste. I governi possono fornire un sostegno che garantisca la sopravvivenza delle imprese e la continuità dell’occupazione e dei redditi in modo da mantenere la domanda aggregata e la solvibilità e la liquidità su ampia base.
Questo può richiedere sussidi e trasferimenti diretti al fine di consentire alle attività economiche di proseguire ed evitare danni irreversibili. Ma questi sono modi per affrontare l’incertezza, non dissiparla. Identificare gli interventi necessari che prendono atto dell’interdipendenza tra sanità pubblica, stabilità economica e altri fattori richiede una straordinaria leadership pubblica, in un momento in cui la fiducia nel governo è senza precedenti.
L’economia del coronavirus
In generale un’economia non può essere separata dalla società: è socialmente integrata. L’idea che l’economia possa essere analizzata indipendentemente dalla salute pubblica, dai processi politici o sociali si è dimostrata non solo semplicemente fragile ma falsa. Il coronavirus l’ha smascherata.
Un modo per capirlo chiaramente è che la risposta appropriata dell’economia al coronavirus dipende da ciò che è ritenuto di valore. E i valori da considerare vanno ben oltre quello strettamente economico. Secondo quanto riferito, l’ex capo stratega della Casa Bianca Steve Bannon, che “un paese è più di un’economia”.
Aveva ragione, anche se per ragioni sbagliate.
La risposta globale alla pandemia sarebbe sembrata impossibile anche ieri: nazioni che si isolano, motivate non dal desiderio di proteggere le loro economie ma per proteggere la salute pubblica.
Implicito in questo superamento delle priorità economiche è l’importanza di un’idea di cittadinanza comune e destino condiviso. Molte società prestano poca attenzione a questa idea in tempi normali. Ma la pandemia sottolinea che la salute pubblica è una conseguenza di regolamenti, istituzioni, politiche, norme, abitudini e disposizioni economiche e sociali. Di conseguenza, l’azione statale e sociale, o la sua mancanza, diventa fondamentale. L’impatto del congedo per malattia retribuito o dell’accesso all’assistenza sanitaria sulla diffusione delle malattie infettive fornisce esempi di come le scelte politiche ed economiche generino la cinghia di trasmissione delle malattie. Un’idea influente della politica economica prevedeva che ogni obiettivo richieda il suo strumento, ma quando le interconnessioni causali sono profonde, gli strumenti devono essere coordinati. Niente coordinamento, niente obiettivi.
La pandemia offusca anche la linea di demarcazione tra privato e pubblico.
L’obiettivo di appiattire la curva è stato abbracciato perché non ci sono letti ospedalieri, ventilatori e altre strutture sufficienti per prendersi cura di tutti i potenziali malati contemporaneamente.
Questo vincolo di capacità è, tuttavia, il risultato di precedenti decisioni pubbliche e private di non investire in ciò che alla politica sembrava superfluo.
Le attuali gravi riduzioni delle libertà private, in particolare quelle di movimento e di assembramento, e l’interruzione del nostro modello di vita sono il risultato di un precedente sottoinvestimento. E avranno conseguenze economiche, sociali, psicologiche e sanitarie. Tanto per dire, anche i cambiamenti nella struttura delle catene di approvvigionamento potrebbero aver reso più difficile la produzione degli strumenti medici che servivano, generando di conseguenza una marcata inefficienza.
L’interesse pubblico va sempre oltre quello privato.
Il pensiero economico keynesiano ha da tempo sottolineato l’interesse della società per investimenti adeguat. Sia quelli pubblici che quelli privati. La pandemia mette in evidenza che questo interesse può estendersi al di là di quanti investimenti ci sono e quali investimenti ci sono. Gli attuali sforzi per aumentare rapidamente l’offerta delle risorse limitanti possono richiedere il coordinamento pubblico e il reindirizzamento delle risorse private. Una pandemia, come una guerra, fa meno marcata la differenza tra il privato e il pubblico. Porta in alto rilievo l’interdipendenza oscurata in precedenza.
Questa non è una semplice teoria. È un pensiero che dà senso alla pratica, specialmente ma non solo in tempi straordinari.
Una risposta razionale al coronavirus richiede di riconoscere che le interdipendenze tra le sfere della vita sono fondamentali per l’economia così come lo sono per l’epidemiologia. Il tipo di conoscenza richiesta richiede una sinergia tra le scienze sociali e naturali. Specie nel concettualizzare l’interesse pubblico. La questione è dare un senso alla relazione tra ciò che è razionale quando considerato individualmente e quando considerato collettivamente. Riconoscendo il ruolo dell’incertezza fondamentale e il conseguente bisogno di giudizio e giustificazione nel formulare politiche pubbliche, dopo il coronavirus l’economia deve aprirsi a nuove intuizioni e recuperare quelle vecchie.
È molto probabile, insomma, un ripensamento di concetti e metodi. Momenti difficili come quello attuale non sono che un innesco del cambiamento.
Bianca Stan – Laureata in Giurisprudenza, scrittrice con diversi libri pubblicati in Romania e giornalista per il gruppo “Anticipatia” (Bucarest). Si concentra sull’impatto delle tecnologie esponenziali, robotica militare e sulla loro intersezione con tendenze globali, urbanizzazione e geopolitica a lungo termine. Vive a Napoli.