Un gruppo di epidemiologi, economisti e sognatori sta pensando a una nuova strategia per sconfiggere il virus, anche prima che venga dispiegato un vaccino
Michael Mina è un professore di epidemiologia ad Harvard. Lí studia i test diagnostici delle malattie infettive. Ha assistito, con incredulità, alla lotta mondiale per avere un numero decente di test per il Covid-19.
In paesi come l’Italia o gli USA la prima ondata del virus è stata caratterizzata da problemi seri sui test. Un numero insufficiente di dispositivi, la carenza di reagenti ed altri fattori hanno reso i test inadeguati. Negli USA questa situazione sta peggiorando addirittura in questa seconda ondata. Nelle ultime due settimane, e per la prima volta dall’inizio della pandemia, il paese ha eseguito meno test Covid-19 rispetto alla settimana precedente. Il sistema si sta deteriorando.
Quello dei test è un problema enorme
I test consentono di svolgere il compito più basilare nel controllo delle malattie: identificare i malati e separarli dai sani.
Quando i test sono abbondanti, possono abbattere la paura del contagio. “L’unica cosa che fa la differenza nell’economia è la salute pubblica, e l’unica cosa che fa la differenza nella salute pubblica sono i test”, dice Simon Johnson, l’ex capo economista del FMI.
Le ipotesi più ottimistiche dicono che i vaccini non saranno disponibili in centinaia di milioni di dosi fino a maggio o giugno. Ci sarà un periodo di transizione in cui medici e operatori sanitari saranno vaccinati, ma non insegnanti, corrieri e agenti di polizia.
Per questo avremo bisogno di test migliori. Ma ne abbiamo bisogno anche adesso.
Come rivoluzionare il sistema dei test Covid-19?
Nelle ultime settimane Michael Mina è diventato il “profeta” di una rivoluzione totale nel modo in cui si può controllare la pandemia. Invece di riorganizzare la vita quotidiana attorno al modo attuale di testare, sostiene, i paesi dovrebbero incorporare i test nel nostro stile di vita.
L’alfiere di questo cambiamento è una sottile striscia di carta, non più lunga di un dito. È un test per il Covid-19. Mina dice che gli Stati Uniti dovrebbe produrre in serie questi test poco costosi e facilissimi da fare (diversamente da altri metodi, richiedono solo un campione di saliva) in quantità di decine di milioni al giorno.
Questi test, che possono fornire un risultato in 15 minuti o meno, potrebbero diventare un elemento costante della vita quotidiana.
Il nocciolo della questione
Prima che qualcuno entri a scuola o in un ufficio, in un cinema o in un supermercato, potrebbe fare uno di questi test. Test negativo? Prego. Test positivo? Torni a casa e decidi il da farsi.
In sintesi, l’idea di Michael Mina è quella di testare quasi tutti, quasi ogni giorno.
I test descritti da Michael Mina esistono già: sono nell’ufficio di e25 Bio, una piccola start-up a Cambridge, Massachusetts; una mezza dozzina di altre aziende stanno lavorando a prodotti simili.
Ma non basta questo: occorrerà cambiare il modo stesso in cui pensiamo ai test. Parliamo di 20 milioni di test Covid-19 al giorno che andrebbero prodotti in Italia. 100 milioni al giorno negli USA. Un’impresa davvero audace.
Con obiettivi altrettanto audaci: Mina dice che questo metodo potrebbe abbattere il coronavirus nel giro di tre settimane. (Altri epidemiologi non sono così sicuri che funzionerebbe, almeno senza gravi svantaggi.)
Sebbene costoso, il suo piano è uno dei pochi di dimensioni proporzionate alla pandemia: sembra un piano di guerra, e per questo può funzionare in uno scenario di guerra, in una economia di guerra.
Che ne pensate?
Se le nuove proposte chiariscono qualcosa, è che in teoria possiamo riportare la vita alla normalità, o a qualcosa di simile, anche prima di un vaccino. Chiariscono, insomma, che c’è una via d’uscita dalla pandemia. Ma vanno considerate diverse cose: prima fra tutte, la tipologia stessa di test.
PCR, croce e delizia dei test Covid-19
Oggi, se hai tosse secca e febbre e fai un tampone per COVID-19, probabilmente farai un test che non è stato progettato per una pandemia fuori controllo. Quale?
Si chiama test di “reazione a catena della polimerasi a trascrizione inversa”, o PCR, ed è uno dei miracoli della medicina. La sua invenzione, nel 1983, aprì la strada al Progetto Genoma Umano, alla diagnosi precoce di alcuni tumori e ad altro ancora.
Come funziona il PCR?
Funziona, in sostanza, un po’ come il “timbro clone” del Photoshop. Con una specifica miscela di sostanze chimiche, chiamate “reagenti” e una macchina speciale, chiamata “termociclatore”, il PCR duplica un determinato filamento di materiale genetico centinaia di milioni di volte.
Quando serve da test Covid-19, la tecnica PCR cerca una sequenza specifica di nucleotidi che è unica per il coronavirus. Una sequenza di RNA che non esiste da nessun’altra parte. Ogni volta che una macchina per PCR (ad esempio, quella della multinazionale Roche) incontra quel filamento, fa una copia sia di quella sequenza che di un colorante fluorescente. Se, dopo aver moltiplicato sia il filo che il colorante centinaia di milioni di volte, la macchina Roche rileva una certa quantità di colorante, il suo software interpreta il campione come positivo. Per avere un “caso confermato di COVID-19” serve che una macchina per PCR rilevi il colorante in un campione e lo rilevi a un tecnico.
Testata più e più volte, la tecnica PCR funziona straordinariamente bene: i migliori test PCR possono rilevare in modo affidabile, in poche ore, appena 100 copie di RNA virale in un millilitro di saliva o muco nasale.
Perché il PCR va superato
La precisione del test Covid-19 basato su PCR lo rende di gran lunga il più riconosciuto e preferito. Ma oggi sta di fatto “paralizzando” la risposta mondiale alla pandemia. Perché?
Un crescente numero di prove cliniche mostra che i test Covid-19 basati su PCR hanno un importante tallone d’Achille. Quale? Le domande più importanti a cui un test può rispondere sono: questa persona è infetta e contagiosa adesso? e se non è contagiosa, potrebbe esserlo presto? Il PCR a queste domande non sa rispondere.
Immaginate di esservi presi il Covid-19 (Dio non voglia). Ecco: ora siete malati, è il giorno zero, ma è impossibile per tutti saperlo. Solo nei giorni successivi, il virus si propagherà silenziosamente nel corpo, replicandosi. Intorno al terzo giorno potrebbe esserci abbastanza virus nel naso e nella saliva che un campione di entrambi risulterebbe positivo tramite PCR.
Presto il vostro sistema respiratorio sarà così affollato dal virus che diventerete contagiosi, spruzzando il virus nell’aria ogni volta che parlate, fumate, o urlate.
Ma probabilmente non sentirete di essere malati fino al quinto giorno, quando inizierete a sviluppare sintomi, come febbre, tosse secca o perdita dell’olfatto. Nei prossimi giorni, poi, sarete ancora più contagiosi.
Ed ecco il primo problema con la PCR. Per interrompere una catena di trasmissione, gli operatori sanitari devono muoversi più velocemente del virus. Se potessero testare presto le persone, ad esempio intorno al terzo giorno, e ottenere un risultato in un giorno o due, potrebbero essere in grado di isolarle prima che infettino troppe persone.
Non succede.
A parte tanti modelli virtuosi, la media dei controlli non riesce a stare dietro a questi ritmi. E se non ci riesce, non serve a contenere il virus.
Dopo i sintomi iniziati intorno al quinto giorno, si potrebbe restare sintomatici per diversi giorni o diversi mesi. Ma alcuni studi recenti suggeriscono che entro il quattordicesimo giorno circa, nove giorni dopo l’inizio dei sintomi, non si è più contagiosi, anche se ancora sintomatici.
A quel punto non ci sono più virus vivi nel sistema respiratorio superiore. Ma poiché milioni di particelle di virus morte rivestono bocca e cavità nasale, la sensibilità del PCR potrebbe dare esito positivo ai test Covid-19. Per settimane si potrebbe risultare ancora positivi, anche senza esserlo.
Ed ecco il secondo problema della PCR: a questo punto della malattia, un test PCR positivo non significa che si è contagiosi, né significa che il virus SARS-CoV-2 sia ancora vivo. Non ha più senso rintracciare i contatti avuti negli ultimi cinque giorni, perché non li si è infettati. Né ha senso restare a casa. Con il test Covid-19 basato sul PCR la sanità pubblica non è in grado di distinguere facilmente tra un giorno due positivo e un giorno 35 positivo.
Il problema finale con i test PCR, comunque, è ancora più semplice: non ce ne saranno mai abbastanza.
Per mesi, come ho detto, è stato difficile per i laboratori ottenere i costosi reagenti chimici che consentono la duplicazione dell’RNA. All’inizio di questa estate, c’è stata una corsa globale sulle punte delle pipette: i bastoncini di plastica usa e getta usati per spostare il liquido tra le fiale. A volte il collo di bottiglia sono le stesse macchine PCR: in definitiva, il numero di test ha superato di gran lunga la capacità delle macchine di eseguirle.
E quando i test diminuiscono, come detto, l’intero sistema medico ne soffre. Senza risultati CERTI e TEMPESTIVI non se ne esce.
E figuratevi gli asintomatici
Il “Super potere” del Covid-19 è proprio questo. Ci sono diffusori silenziosi che possono rimanere infettivi per settimane ma non sviluppano mai alcun sintomo. Rappresentano dal 20 al 40% di tutte le infezioni.
Alcuni studi suggeriscono che potrebbero essere più contagiosi delle persone sintomatiche, portando più a lungo cariche virali.
La sfida è chiara: abbiamo bisogno di un numero enorme di test. La popolazione deve essere sottoposta a screening. Supponendo di voler testare tutti gli italiani una volta a settimana: servirebbero 8 milioni di test al giorno. Come ci arriviamo?
Il pooling
Nell’immediato futuro, l’unico modo per aumentare i test è spremere più test dal sistema PCR esistente. La soluzione migliore per farlo velocemente è attraverso una tecnica chiamata “pooling“, che potrebbe eliminare alcune centinaia di migliaia di test in più dal sistema ogni giorno.
Il sistema è semplice: invece di testare ogni campione individualmente, i laboratori combinano alcuni campioni, quindi testano quel campione “raggruppato” come uno solo.
La tecnica è stata inventata da Robert Dorfman, uno statistico di Harvard, per testare i soldati americani per la sifilide durante la seconda guerra mondiale. Oggi è comunemente usato dai laboratori di sanità pubblica per testare l’HIV.
Funziona così: un tecnico non esamina singolarmente i campioni, ma crea un gruppo di 50 e li testa insieme. Se il campione aggregato è negativo, nessuno dei 50 ha il virus, e per saperlo sarà stato impiegato il materiale necessario ad un solo test.
Se il campione aggregato è positivo, inizia una nuova fase. Il tecnico raggruppa di nuovo gli stessi campioni, questa volta in gruppi più piccoli di 10, e li verifica nuovamente. Quando uno di questi pool più piccoli è positivo, testa ogni singolo campione in esso contenuto. Alla fine del processo, ha testato 50 persone, ma ha usato solo una dozzina di test.
Questo approccio fa risparmiare centinaia di test nel corso di una giornata.
Ma il pooling è solo un ripiego
Il pooling funziona meglio per malattie relativamente rare, come l’HIV e la sifilide. Se una malattia è troppo comune, allora il lavoro di raggruppamento di mescolamento e rimescolamento dei campioni può non valere la pena.
La chiave per cambiare approccio è il “pooling front-end”. Immaginatevi che ogni giorno, quando i bambini arrivano nella loro classe, si tolgano brevemente la mascherina e sputino in un contenitore. Il campione aggregato potrebbe essere analizzato con un risultato entro la mattina successiva. Campione negativo? Tutti in classe. Campione positivo? Tutti a casa e test singoli.
Il pooling front-end potrebbe ridurre tempi e costi, in parte risparmiando sui materiali. Certo, al momento non esiste un dispositivo che consenta a tanti bambini di sputare in sicurezza in una sola fiala. Servirebbe svilupparlo in fretta.
L’approccio del pooling front-end non è mai stato provato prima, perché ha senso solo in caso di pandemia.
Poi il test di cui parlavamo all’inizio di questo post.
E se ci fosse un test che si può produrre in gran numero, e non richiedesse un lettore specializzato? E se funzionasse più come un test di gravidanza, una procedura che puoi eseguire a casa e non solo in uno studio medico?
Questi test, come detto, esistono (da aprile) e sono realizzati da e25 Bio, una startup di 12 persone. Un test e25 è una striscia di carta, lunga pochi centimetri e larga meno di uno. Ha bisogno solo di un po ‘di saliva, una soluzione salina e una tazzina e fornisce un risultato in 15 minuti. Proprio come un test di gravidanza, non richiede una macchina, un reagente o un medico per funzionare.
La sua qualità è che reagisce alla presenza della caratteristica proteina spike del coronavirus, la struttura sulla “pelle” del virus che gli consente di agganciarsi ed entrare nelle cellule umane.
La proteina spike è la struttura più importante del coronavirus. Gioca un ruolo importante nel determinare l’infezione del virus, ed è ciò a cui mirano sia gli anticorpi che molti prototipi dei futuri vaccini.
Se questi test fossero prodotti in numero sufficiente e massivo, accettereste di sottoporvi ogni giorno, tutti i giorni per qualunque cosa?
Badate bene: il piano, dice Michael Mina, non si limiterebbe a mitigare i danni della pandemia. Potrebbe farla finita.
Per sfuggire alla pandemia, in pratica, l’obiettivo è superare la velocità del nemico. Inondare il mondo con miliardi di test non perfetti, ma abbastanza buoni (e veloci) per fermare il Covid-19.
I test di questo tipo hanno degli svantaggi, certo.
Testare decine di milioni di persone ogni giorno sarebbe un intervento biotecnico senza precedenti, potrebbe avere effetti collaterali imprevedibili e sgradevoli. Il piano di Mina probabilmente non ha ancora tenuto conto di tutte le conseguenze operative.
In pratica, ecco come potrebbe essere il mio maggio 2021
i vaccini sono in distribuzione. Non l’ho ancora fatto, ma non c’è più il distanziamento sociale. Quando mia figlia entra in classe, si toglie brevemente la maschera e sputacchia in un sacchetto di plastica; così fanno tutti gli altri bambini e l’insegnante. La borsa viene quindi consegnata a un laboratorio nei paraggi. Quando arrivo al lavoro, sputo in un bicchiere di plastica, poi vado a bere un caffè in una saletta appartata. In 15 minuti, ricevo una notifica: screening quotidiano superato, posso iniziare la giornata. Indosso ancora la maschera alla scrivania e cerco di evitare le aree comuni, ma i livelli di infezione sono bassissimi. Sabato sera, io e la famiglia andiamo con amici e parenti in un ristorante e, prima di entrare, facciamo un altro test. È normale, ora, vedere contenitori di soluzione salina, raccoglitori per test con la strisciolina di carta che cambia colore, all’ingresso di ogni luogo pubblico. Prima di mettere la bimba a nanna, un altro messaggio dalla sua scuola mi avvisa: nessuno in classe è risultato positivo stamattina. Anche domani si potrà fare lezione in presenza.
Non ci sono ostacoli tecnici a questa visione. Solo una carenza di volontà politica.
So già che sulla carta questo scenario di test Covid-19 quotidiani sembra un incubo, anche se molto meno di quello attuale. Ma la strada è lunga, e il virus potrebbe essere qui per restarci.
Potrebbero esserci poche alternative ad un sistema attuale. Potremmo perdere inutilmente, dolorosamente tempo a cercare di ripristinare un passato che semplicemente non può tornare più.