Addestrando nel suo studio un paziente paraplegico con l’esoscheletro nell’ambito del progetto “Walk Again”, Il prof. Gordon Cheng (Istituto dei Sistemi Cognitivi, ICS, Germania) restò sorpreso. I pazienti riacquistavano un certo grado di controllo sul movimento delle gambe. Una sorpresa non da poco.
Era il 2016, ed era solo l’inizio. A distanza di quattro anni nessuno di quei pazienti è ancora in grado di camminare liberamente e senza aiuto, ma la strada è tracciata. La robotica può non soltanto aiutare le persone con disabilità, ma può addirittura favorire il processo di guarigione.
L’uomo ha visto in robotica e neuroscienze due punte di quello che sott’acqua potrebbe essere un unico iceberg.
Per sviluppare dispositivi medici migliori, dobbiamo scavare più a fondo per capire come funziona il cervello e come tradurlo nel linguaggio della robotica.
Chiudere il circuito tra cervello e macchina
Nel loro articolo pubblicato su “Science Robotics” questo mese, Cheng e il suo collega Prof. Nicolelis, uno dei massimi esperti in neuroscienze e in particolare nell’area dell’interfaccia uomo-macchina, sostengono che serve superare alcune sfide chiave per avanzare verso la fusione di neuroscienze e robotica. Una di queste è “chiudere il circuito tra il cervello e la macchina”.
Cosa intendono con questo?
L’idea è che l’accoppiamento tra il cervello e la macchina funzionerà se il cervello penserà alla macchina come ad un’estensione del corpo.
Prendiamo la guida come esempio. Mentre guidiamo una macchina, non pensiamo costantemente alle nostre azioni, vero? Ma ancora non sappiamo come funzioni davvero.
Ebbene, la teoria dei due studiosi è che il cervello in qualche modo si adatti all’auto proprio come se fosse un’estensione del corpo. Con questa idea generale in mente, sarebbe fantastico avere un esoscheletro considerato dal cervello allo stesso modo.
Come si può ottenere questo risultato nella pratica?
L’esoscheletro che Cheng ha usato per la sua ricerca finora è in realtà solo un grosso pezzo di metallo, piuttosto ingombrante per chi lo indossa.
Servirà sviluppare un esoscheletro “morbido”, qualcosa da indossare semplicemente come un capo di abbigliamento che possa sia percepire le intenzioni di movimento dell’utente sia fornire un feedback istantaneo.
I recenti progressi nelle interfacce cervello-macchina consentirebbero l’adattamento senza soluzione di continuità di tali esoscheletri alle esigenze dei singoli utenti. Dati i recenti progressi tecnologici e una migliore comprensione di come decodificare l’attività cerebrale momentanea dell’utente, i tempi sono maturi per la loro integrazione in soluzioni più centrate sull’uomo o, meglio, centrate sul cervello.
Che altro mancherebbe ancora? Un modello funzionale più realistico per entrambe le discipline.
Per abbassare la soglia della robotica e favorirne l’utilizzo nelle neuroscienze, servono dunque robot più vicini alla struttura e al comportamento umano. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di modelli funzionali più realistici, il che significa che i robot dovrebbero essere in grado di imitare le caratteristiche umane.
Prendiamo l’esempio di robot umanoidi azionati da muscoli artificiali, o provvisti di “pelle”, come quelli che Cheng sperimenta da anni. Questa costruzione naturale che imita i muscoli invece della tradizionale attivazione motorizzata fornirebbe ai neuroscienziati un modello più realistico per i loro studi.
È uno dei tantissimi possibili esempi di situazioni vantaggiose per tutti, che faciliteranno una migliore cooperazione tra neuroscienze e robotica in futuro.
Neuroscienze e robotica: una task force
Cheng e Nicolelis non sono soli nella missione di superare queste sfide. In Germania un programma chiamato Elite Graduate in Neuroengineering, primo e unico nel suo genere, combina neuroscienze sperimentali e teoriche con una formazione approfondita in ingegneria, e riunisce i migliori studenti nel campo.
La formazione alla versatilità sarà un fattore cruciale. Combinare le due discipline della robotica e delle neuroscienze è un esercizio difficile, per questo serve insegnare agli studenti a pensare in modo più ampio e trasversale, per trovare soluzioni inimmaginabili.
Il futuro parte da una nuova comunità scientifica e da una nuova cultura nel campo dell’ingegneria e della robotica.
Ecco dove si incontrano sott’acqua robotica e neuroscienze, le due punte dello stesso iceberg.
Nell’istruzione.
Riferimenti: Gordon Cheng, Stefan K. Ehrlich, Mikhail Lebedev, Miguel A. L. Nicolelis. Science Robotics, 2020; 5 (49): eabd1911 DOI: 10.1126 / scirobotics.abd1911