La battaglia infuria veloce, e la sensazione è che presto si arriverà ad un punto di non ritorno.
Ieri Twitter si è unita a Facebook e ad altri social media per sospendere definitivamente l’account del presidente uscente Donald Trump.
Il lungo prologo lo conosciamo bene: gli echi di guerra civile risuonati per anni, la delegittimazione dell’avversario, la polarizzazione della popolazione, l’assalto alle istituzioni, la direzione “sovranazionale” dei social media. Sono ore da resa dei conti, con operazioni a metà strada tra la tutela della sicurezza e la damnatio memoriae.
I social media, outsider politici nel 2008 ai tempi del primo Obama, 12 anni dopo sono diventati giudici e decisori di vittorie e sconfitte. I Social media hanno sottolineato il loro ruolo fondamentale in uno dei periodi più tumultuosi della storia moderna. Se questo sembra strano e insolito, è perché non ci sono precedenti storici, né nei media né in questa gestione mediatica di una Presidenza.
“Mai successo prima”, dice Margaret O’Mara, storica specializzata in storia della tecnologia e della politica, autrice e docente dell’Università di Washington.
Piazzisti e piazze
“Ciò che un presidente dice e fa ha sempre avuto risonanza, perché è sempre stato degno di nota”, dice la O’Mara, . “Specie quando la presidenza è cresciuta fino a diventare il lavoro più importante del pianeta e gli USA sono diventati una superpotenza militare ed economica, ciò che il presidente dice è stato sempre diffuso con un’ampia eco”.
Ora, se Trump è stato di certo un presidente del tutto sui generis (con un epilogo tragico e pericoloso), va detto che anche le piattaforme di social media si sono ritrovate in un ruolo per il quale non sono state ben progettate.
Sono diventate piazze politiche, ma non erano progettate per esserlo. I Social media, lo sanno anche i sassi, sono progettati per vendere annunci su Internet.
Speranze disattese
Tutti ricordiamo quella sorta di ottimismo che ci ha preso quando abbiamo scoperto che un luogo virtuale avrebbe potuto metterci e rimetterci in contatto con tutti i nostri affetti.
Uno strumento di confronto, di dialogo, di democrazia, capace di unire le persone.
Sebbene le piattaforme di social media possano ancora essere una forza unificante, questa tecnologia ha mostrato tutte le potenzialità di piattaforma per produrre e promuovere atti violenti, o insurrezioni, o conseguenze di una realtà alternativa e manipolata.
Lo dimostrano ampiamente gli eventi della scorsa settimana, ma pure le tante “dirette” dei singoli assassini seriali e mitomani.
In tanti casi, il ruolo dei social media è stato di arma, di tramite. I Social media hanno colpe in quello che è successo in tali casi. Hanno senza dubbio contribuito alla distorsione che ha prodotto queste conseguenze.
Un feed come quello di Facebook (ma vale anche per altre piattaforme) è perfetto per vendere annunci. È un modello di business straordinario, sorprendente. È però un pessimo modo per ottenere lo spettro completo di ciò che accade nel mondo.
Per problemi strutturali, in sintesi, i social media disinformano. Confondono. Deformano. E ora rischiano di aver deformato anche la società che ospitano quotidianamente. L’accusa lanciata agli “odiatori del web” è sterile come quella lanciata a tori in un’arena, incattiviti e poi criminalizzati ed abbattuti.
Social media: cosa succederà adesso?
La situazione è paradossale. I Social media oggi puntano a “recuperare” terreno dopo aver favorito la polarizzazione della società e la diffusione di fake news e messaggi di odio. Con la stessa forza dirompente oggi diventano (loro malgrado?) ministeri sovranazionali di verità e sicurezza. Decidono di censurare, e di cancellare.
Un effetto domino che rischia di ribaltare la forma delle cose: in pochi giorni, a cascata, già oggi assistiamo a conseguenze previste solo tra qualche tempo.
In estrema sintesi, ed è solo una delle deviazioni cui assisto: i social media cacciano o cancellano le persone (Trump di fatto è stato bannato da Facebook, Twitter, Twitch, TikTok e altri). Le persone vanno su altri social media (ad esempio Parler). Le aziende cacciano o cancellano interi social media (Apple Store e Google Store tolgono Parler dalle loro app). Guerra totale.
Anche senza avere precedenti di ciò che è accaduto, la storia fornisce alcuni indizi su ciò che potrebbe accadere dopo.
Perché una regola serve
Il settore tecnologico è fiorito in un ambiente di deregolamentazione, ma il passato mostra che può esserci anche un ruolo costruttivo per la regolamentazione.
Un futuro possibile è già scritto, con tutte le sue conseguenze. Ci dice che i grandi social generalisti perderanno terreno, che ci saranno più social frammentati per interesse, forse per fede politica, e che un giorno un social potrebbe essere chiuso per terrorismo.
Prima che questo accada, però, si può scrivere un futuro diverso, definendo ab origine un ruolo per i social. È possibile riprogettarli in modo etico?
In un sistema che premia il profitto e non i valori, come si può impedire a un’azienda che vende attenzione di generare dipendenza patologica nei suoi “clienti”?
Se il social punta a darmi solo ciò che voglio sentire, mi creerà danni enormi. Se punta a impormi ciò che debbo sentire o peggio dire, ancora peggio.
Nosedive, Black Mirror, terza serie, episodio 1.
È escluso che un imprenditore qualsiasi si erga a decisore di ciò che si può o non si può fare o dire. Escluso in modo assoluto. È escluso anche che questo imprenditore debba assumersi la responsabilità del fatto che usando i suoi strumenti qualcuno possa evocare violenza.
Nelle rivoluzioni “verdi” tanto osannate, o nelle rivolte in Ucraina e Turchia, si condannava la censura di regime dei social media e sui social media. Lo stesso regime, poi, aveva vita facile controllando i media monodirezionali.
È chiaro che al potere faccia comodo poter parlare senza essere smentito. Così come è chiaro che alla democrazia faccia bene il pluralismo.
Etica e legge come soluzione. Divieto di concentrazione delle piattaforme di social media, e responsabilità individuale sui contenuti.
Blockchain, ultima speme dei social media?
Democratizzare iI Social media, dunque. Non facile, considerato il sistema nel quale i limiti civili e gli interventi statali sono percepiti come espropri ingiusti.
Una soluzione sarebbe quella di favorire l’avanzamento dei social media basati sulla blockchain. Social media che offrirebbero benefici e opportunità da una decentralizzazione della gestione dei contenuti e degli scambi di informazioni.
Sarebbe la fine dell’utente considerato come un prodotto. E potrebbe tutelare sia la libertà di parola che la sicurezza. Social media nei quali tutti sarebbero rappresentati in modo più simile alla realtà: come Oloni, per usare un termine coniato nel 1967.
La parola “Olone” è stata introdotta dall’autore e giornalista ungherese Arthur Koestler nel libro del 1967 Ghost in the Machine . Secondo Koestler, un Olone è qualcosa che ha integrità e identità di per sé, e quindi è un sistema autonomo e autoregolante; ma allo stesso tempo fa parte di un sistema più ampio. Esattamente come siamo noi esseri umani: particelle singole, ma anche un tutto unico.
Niente social media come Grande Fratello Censore, niente fabbrica di attenzione. Diversamente, quello che oggi ci sembra assurdo e irripetibile sarà solo l’inizio: una dittatura distopica basata sulla valutazione sociale.