Molti animali sono noti per la loro longevità. Le tartarughe marine possono vivere fino a 50 anni o più, mentre lo squalo della Groenlandia può vivere per più di 400 anni. Alcuni animali hanno il privilegio di vivere a lungo, altri non sono così fortunati.
Alcune specie hanno una aspettativa di vita decisamente minore. come il ghiozzo pigmeo, un pesce australiano, che vive solo 8 settimane. Le effimere adulte, invece, vivono in media solo 24 ore.
Nel complesso, può essere perciò molto difficile calcolare l’aspettativa di vita di specie diverse. E quella di molti è ancora sconosciuta, perché gli scienziati si affidano ad un campione di animali selvatici in cattività, dunque in condizioni molto diverse da quelle del loro habitat naturale.
Ora, gli scienziati stanno cercando nuovi metodi per stimare l’aspettativa di vita: la lettura del DNA è l’approccio più esplorato negli ultimi anni.
Capire l’aspettativa di vita dal DNA
In un paper del 2019 pubblicato su Scientific Reports i ricercatori hanno previsto l’aspettativa di vita dei vertebrati, inclusi rettili e mammiferi, osservando parti specifiche del loro DNA. Hanno raccolto le informazioni genetiche di 252 organismi e si sono concentrati sulle sequenze di DNA che possono spiegare le grandi differenze nella durata della vita osservate nel regno animale. Con questi dati, hanno costruito un algoritmo per prevedere la durata massima della vita delle specie viventi ed anche di quelle estinte. L’hanno chiamato “orologio della durata della vita” e l’hanno usato per affinare la durata media della vita di alcune specie longeve.
Con applicazioni nel mondo reale e la possibilità di svelare nuovi dettagli sul passato, leggere il DNA è una tecnica promettente per i genetisti che vogliono capire come invecchiano gli animali (compreso l’uomo) e come aiutarli a vivere più a lungo. Oltre a ciò, attingere alla metilazione potrebbe aiutare a indicare quando un animale subisce stress ambientali e rischia di avere una aspettativa di vita inferiore, morendo prima.
Il ticchettio dell’orologio nel tuo DNA
Il DNA è il modello biologico che rende unica ogni creatura vivente. Tutto, dall’altezza di una persona alle iconiche scaglie arancioni di un pesce pagliaccio, è riconducibile alle istruzioni del DNA. Quando si tratta di determinare la durata della vita, anche il DNA potrebbe essere rilevante. Più specificamente, la metilazione, un processo biologico all’interno delle cellule, potrebbe contenere indizi sulla durata della vita e sul processo di invecchiamento negli esseri umani e negli animali.
Due parole sulla metilazione
Durante il nostro ciclo di vita, i geni si attivano e disattivano. Questo è fondamentale per una crescita e uno sviluppo sani e la metilazione è un processo importante che governa l’espressione genica. Durante la metilazione, gli enzimi aggiungono un gruppo metile a un gene, che ne impedisce la trascrizione. È un po’ come mettere le manette temporanee su un gene: il gene è ancora lì, ma il meccanismo della cellula non può leggerlo o trasformarlo in una proteina. Quindi la metilazione spegne i geni, mentre la demetilazione (la rimozione dello stesso gruppo metilico) li attiva, e tutto influisce sull’aspettativa di vita.
Sebbene i modelli di metilazione e il modo in cui sono regolati rimangano poco conosciuti, gli studi hanno dimostrato che la metilazione diminuisce con l’età. Nei centenari è ridotta al minimo. Significa che avere più metilazione è una buona cosa? Beh, dipende. Un certo numero di normali processi cellulari si basa sulla metilazione. Ma potrebbe accadere che la disattivazione di determinati geni ne impedisca l’espressione, riducendo il rischio di sviluppare determinate malattie.
La metilazione del DNA può anche essere usata come marker per determinare l’età negli animali. Studiare la fauna selvatica che può sopravvivere in modo significativo agli umani può essere una sfida. Usando la loro tecnica di metilazione, i ricercatori che hanno scritto lo studio Scientific Reports hanno appreso che le balene di prua hanno una durata naturale massima di 268 anni. Si tratta di informazioni nuove: le misurazioni precedenti avevano fissato la loro durata di vita a 211 anni. I ricercatori hanno applicato la stessa tecnica per prevedere anche l’aspettativa di vita di alcune specie oggi estinte. Ad esempio, rivelando che il mammut lanoso poteva vivere fino a 60 anni. Un’aspettativa di vita simile a quella degli elefanti africani, che ancora oggi popolano le savane africane.
Umani: cablati per vivere 38 anni?
Lo stesso studio ha esaminato anche i genomi dei nostri antichi cugini ominidi: Neanderthal e Denisovani. Ed ha rilevato che entrambe le antiche specie di ominidi avevano una aspettativa di vita di 37,8 anni. È interessante notare che la durata della vita dei primi Homo sapiens, la nostra specie, era parimenti di 38 anni. (Forse non siamo così diversi dai nostri primi antenati, dopotutto.)
Può sembrare strano che gli esseri umani abbiano una aspettativa di vita così breve scritta nel nostro DNA. Questo significa che dovremmo morire a 38 anni? Non esattamente. Come scrive l’autore principale di questo studio, Benjamin Mayne, “Gli esseri umani possono essere considerati un’eccezione a questo studio perchè i progressi nella medicina e nello stile di vita hanno esteso l’aspettativa di vita”.
Dopotutto, i geni non sono il destino
Vi starete ancora chiedendo perché ci sono differenze così nette tra le specie in termini di aspettativa di vita e metilazione. Il controllo della metilazione potrebbe migliorare la durata della vita tra individui della stessa specie?
Animali diversi hanno meccanismi diversi all’interno delle loro cellule che regolano i tassi di metilazione. Queste differenze si verificano anche tra animali all’interno della stessa specie, perché la metilazione dipende da numerosi fattori, inclusi ambienti diversi e malattie sottostanti. Qualcuno con il cancro avrà diversi modelli di metilazione del DNA rispetto a una persona sana, semplicemente perché la malattia è associata ad alterazioni genetiche.
È probabile che anche uno stile di vita sano e attivo faccia molto. Gli studi hanno riportato che le persone che fanno esercizio e mangiano più frutta e verdura spesso hanno livelli più elevati di metilazione, il che è in contrasto con i cali legati all’età normalmente osservati.