La nuova tecnica, sviluppata dagli scienziati dell’Università Politecnica di Hong Kong, utilizza biofilm batterici (una sostanza appiccicosa creata dai microrganismi) per intrappolare le particelle di microplastica.
Il biofilm viene quindi elaborato e disperso, rilasciando le particelle plastiche per la lavorazione e il riciclo.
Le microplastiche sono un fenomeno estremamente problematico. Rappresentano un grave rischio per le catene alimentari e la salute umana.
“Non sono facilmente biodegradabili, dove si conservano negli ecosistemi per periodi prolungati,” dice il ricercatore Yang Liu. Questo si traduce nell’assorbimento di microplastica da parte degli organismi, e alla loro ritenzione lungo la catena alimentare.
Spugne minuscole che hanno invaso tutto. Ci stanno seppellendo sotto una montagna di veleno.
A causa della sua enorme capacità di assorbimento, la microplastica può assorbire inquinanti tossici, come pesticidi, metalli pesanti e residui di farmaci ad alte concentrazioni.
“Questo porta a tossicità biologica e chimica per gli organismi negli ecosistemi e per gli esseri umani dopo un consumo involontario prolungato,” conferma il ricercatore dell’Università di Hong Kong.
Microplastica: in giro a vita
La microplastica è una minaccia insidiosissina. È difficile da rimuovere perfino dagli impianti di depurazione, che non ne frenano il rilascio indesiderato nell’ambiente. Questo nuovo metodo potrebbe però rappresentare un punto di svolta.
Come funziona la tecnica messa a punto dal team di Hong Kong?
Più nel dettaglio, i ricercatori hanno utilizzato il batterio pseudomonas aeruginosa per catturare microplastica in un bioreattore.
I biofilm di pseudomonas aeruginosa fanno sì che le particelle di microplastica si aggreghino insieme, facendole infine affondare. Nei bioreattori, questo rende la microplastica più comoda da raccogliere.
Una volta catturata e affondata nel bioreattore, i ricercatori “sganciano” la microplastica dal biofilm utilizzando un gene di dispersione.
Risultati?
Liu spiega che questo metodo “consente un distacco delle microplastiche dalla matrice del biofilm. Un’operazione altrimenti difficile e costosa, che ora è possibile e permette anche di recupere materiale per riciclarlo.
Immaginate questo metodo anti microplastica direttamente negli impianti di trattamento delle acque
Le microplastiche sono particelle di plastica di diametro inferiore a 5 mm. Possono entrare nell’ambiente attraverso una serie di fonti tra cui la rottura di pezzi di plastica più grandi, il lavaggio di indumenti sintetici, la rottura di pneumatici per auto e rifiuti di plastica direttamente dall’industria. Gli attuali metodi per lo smaltimento della microplastica, come l’incenerimento o lo stoccaggio in discarica, sono limitati e presentano grossi svantaggi.
I prossimi passi della ricerca, che è stata pubblicata nel Chemical Engineering Journal, stanno spostando il proof-of-concept dal laboratorio a un ambiente reale.
Liu e colleghi sperano che la tecnica venga eventualmente utilizzata negli impianti di trattamento delle acque reflue per aiutare a fermare la fuga di microplastica negli oceani.