“Who wants to live forever?”, cantava il mitico Freddie Mercury. Una domanda che sta assumendo un bel po’ di senso, specialmente nell’industria tecnologica. Nella Silicon Valley, allungare la vita umana fino all’immortalità è diventata un obiettivo da perseguire. Molti grandi nomi delle aziende Big Tech hanno investito fondi in iniziative per risolvere il problema della morte, quasi fosse solo un aggiornamento del sistema operativo.
E se la morte semplicemente non potesse essere cancellata? Se la longevità avesse un limite, qualunque cosa facciamo? I ricercatori hanno affrontato la questione di quanto tempo possiamo vivere se, per una combinazione di serendipità e genetica, non moriamo di cancro, malattie cardiache o incidenti. E in uno studio pubblicato ieri su Nature Communications dicono che al riparo da questi eventi, il nostro declino progressivo limita la durata massima della vita per gli esseri umani tra 120 e 150 anni.
Comunque vada, la vita umana ha una scadenza?
Per lo studio, Timothy Pyrkov e colleghi ricercatori presso una società con sede a Singapore chiamata Gero, hanno esaminato tre grandi coorti negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Russia. Allo scopo di valutare le deviazioni da una “salute perfetta”, hanno osservato fattori tra i quali i cambiamenti nella conta dei globuli e il numero giornaliero di passi compiuti, e li hanno analizzati per gruppi di età.
Per ciascuno di questi fattori lo schema è lo stesso: l’aumentare dell’età ha determinato un declino prevedibile e progressivo della capacità del corpo di riportare i parametri a un livello stabile dopo un’interruzione. Quando Pyrkov ei suoi colleghi a Mosca e Buffalo, NY, hanno utilizzato questo ritmo di declino per determinare quando la resilienza sarebbe scomparsa del tutto, portando alla morte, hanno trovato un intervallo da 120 a 150 anni.
Diverse variabili unite da una costante
Misurazioni come la pressione sanguigna e la conta delle cellule del sangue hanno intervalli noti, sottolinea il team, mentre il conteggio dei passi è altamente variabile e personale. Il fatto che Pyrkov e colleghi abbiano scelto una variabile così diversa dalla conta ematica e abbiano comunque scoperto lo stesso declino nel tempo può suggerire un fattore reale del ritmo dell’invecchiamento in gioco in diversi domini.
Il coautore dello studio Peter Fedichev, che si è formato come fisico e ha co-fondato Gero, dice che sebbene la maggior parte dei biologi consideri il conteggio delle cellule del sangue e il conteggio dei passi come “abbastanza diversi”, il fatto che entrambe le fonti “dipingano esattamente lo stesso futuro” suggerisce che questa “costante” del ritmo dell’invecchiamento è reale.
Quali fattori sociali riflettono i risultati?
“Abbiamo osservato una svolta ripida all’età di circa 35-40 anni che è stata abbastanza sorprendente”, dice Pyrkov. Ad esempio, osserva, questo periodo è spesso il momento in cui la carriera sportiva di un atleta finisce, “un’indicazione che qualcosa di fisiologico potrebbe davvero cambiare a questa età”.
Il desiderio di svelare i segreti dell’immortalità esiste probabilmente da quando gli umani sono consapevoli della morte. Ma una lunga durata della vita umana non indica per forza lunga salute. L’obiettivo non dovrebbe essere tanto quello di vivere più a lungo, ma di vivere in modo più sano più a lungo.
La morte non è l’unica cosa che conta. Altre cose, come la qualità della vita, iniziano ad avere sempre più importanza man mano che le persone ne subiscono la perdita. La morte modellata in questo studio, è solo l’ultimo atto. La domanda è: possiamo prolungare la vita senza estendere anche la proporzione di tempo in cui le persone attraversano uno stato fragile?
La conclusione finale dei ricercatori è interessante da vedere. Secondo lo studio, in ultima istanza, trattare le malattie a lungo termine non avrà l’effetto sperato. I processi biologici fondamentali dell’invecchiamento della vita umana continueranno.
Allora almeno rallentiamolo
L’idea di rallentare il processo di invecchiamento ha attirato l’attenzione. Non solo a Silicon Valley tra quelli che sognano di caricare i loro ricordi sui computer, ma anche in un gruppo di ricercatori. Scienziati che vedono tali interventi come un mezzo per “comprimere la morbilità”, per diminuire malattie e infermità e prolungare se non la durata della vita umana, almeno quella della salute.
Se ciò avrà un impatto sui “limiti massimi fondamentali” identificati in questo studio su Nature Communications resta altamente speculativa. Ma alcuni studi sono in fase di lancio (ad esempio quelli molto interessanti sulla metformina) con l’obiettivo di attenuare gli indicatori caratteristici dell’invecchiamento.
In questa stessa ottica, Fedichev e il suo team non sono scoraggiati dalle loro stime della durata massima della vita umana. Il loro punto di vista è che la loro ricerca segna l’inizio di un viaggio più lungo. “Misurare qualcosa è il primo passo prima di produrre un cambiamento”, dice Fedichev.
E il punto è proprio questo: considerata la nostra natura, per toglierci questa “data di scadenza” dobbiamo lavorare per cambiarci, per aumentare le nostre capacità: parola d’ordine H+.