Le macchie sui marmi di Michelangelo sono una lunghissima, ironica vendetta della Storia dopo il fattaccio del 1537.
Quell’anno, il 6 gennaio, il duca di Firenze Alessandro De’ Medici fu attirato dalla promessa dell’incontro con una bella vedova e aggredito dal cugino (Lorenzo De’ Medici) e da un sicario, che lo pugnalarono a morte. Dopo il suo assassinio, l’ex sovrano di Firenze fu apparentemente lasciato a marcire nella tomba di suo padre.
Un degrado che, come nel quadro di Dorian Gray, ora si riflette nella statua di Michelangelo che ritrae Lorenzo.
Anche questo beffardo scherzo del destino, tuttavia, non potrà competere con i nostri più formidabili restauratori: i batteri.
La cappella sporca
La famiglia Medici governava Firenze e la chiesa, un’egemonia sostenuta dalle banche durata secoli che ha praticamente patrocinato il Rinascimento. Una famiglia così potente garantiva anche un luogo potente per l’eterno riposo. La Cappella Medici fu commissionata a Michelangelo, le cui sculture adornano i sarcofagi.
La pulizia di sporcizia e macchie persistenti nella Cappella dei Medici è iniziata prima del COVID. Nel novembre 2019, il Consiglio nazionale delle ricerche italiano ha scoperto cosa c’era dietro la sporcizia. Anna Rosa Sprocati, biologa dell’Agenzia nazionale italiana per le nuove tecnologie, ha scelto dal suo catalogo di oltre 1.000 batteri gli 8 più promettenti da testare contro le macchie.
Il lavoro dei batteri su Michelangelo
I batteri prescelti hanno iniziato a “operare” sulla tomba di Giuliano De’ Medici, duca di Nemours. Ad abbellire la tomba del Duca ci sono le personificazioni della Notte e del Giorno. I batteri hanno esordito con successo “lavando” i capelli e le orecchie della Notte.
Poi è arrivato il COVID-19.
I lavori si sono fermati fino a metà ottobre del 2020, quando la squadra è tornata e ha liberato un batterio chiamato Serratia ficaria SH7 sulla tomba macchiata di Alessandro.
“SH7 ha mangiato tutta la notte”, dicono Monica Bietti, ex direttore del Museo delle Cappelle Medicee, e la restauratrice Marina Vincenti.
L’Italia ama i batteri (quelli buoni, intendo)
L’Italia è particolarmente affezionata ai batteri. Non solo Michelangelo: i ceppi che ingurgitano zolfo hanno ripulito le “croste nere” dal Duomo di Milano, funzionando molto meglio di un trattamento chimico.Un affresco sulla cupola di una cattedrale di Pisa e un cimitero vicino alla Torre Pendente sono stati ripuliti da batteri che mangiano sostanze inquinanti.
Sono anche ottimi “guardiani ambientali”
I ceppi con cui Sprocati ha iniziato a pulire le opere di Michelangelo sono ottimi nella pulizia ambientale, mangiando petrolio nelle fuoriuscite e disintossicando i metalli pesanti. Hanno fatto un ottimo lavoro, ad esempio, per ridurre la fuoriuscita di petrolio della Deepwater Horizon della BP, la più grande della storia.
Da quell’orribile terreno di prova, un batterio chiamato Alcanivorax borkumensis è emerso come miglior candidato per combattere le fuoriuscite di petrolio abbattendo l’80% dei composti del petrolio greggio.
Ad ogni modo, l’esercito batterico della Cappella dei Medici ha fatto il suo lavoro.