Mi piace la carne di manzo. Mangio anche il pollo, fritto o sulla piastra: quando capita mangio anche un hamburger, o una salsiccia. Me ne vergogno, ho ridotto molto il consumo ma ne mangio ancora. È la verità, non posso nasconderla.
Un’altra verità? Gli allevamenti di animali sono una pratica barbara e moralmente orribile. I maiali sono confinati in minuscole stalle per tutta la vita. Sono costretti a stare in piedi nelle loro stesse feci, malnutriti e alimentati forzatamente con ormoni e torturati. I polli vivi vengono aspirati in macchine giganti o tritati vivi da piccoli (se maschi). Le mucche da latte regolarmente maltrattate, i bovini castrati senza antidolorifici. E tutto questo in attesa di essere macellati, massacrati.
L’industria agricola è il tipo di incubo industrializzato e di massa di tortura e crudeltà che, quando viene fatto agli esseri umani, acquisisce lo status di male totemico. Tuttavia, poiché lo facciamo agli animali invece che agli umani, non ci pensiamo due volte.
Ci raccontiamo che gli animali non sono umani.
Sebbene (per fortuna) ci sia un numero consistente di persone convinte che “gli animali dovrebbero avere gli stessi diritti delle persone“, in pratica solo un numero ancora marginale di attivisti più impegnati riordinerebbe la società in modo da mettere la felicità di un maiale alla pari di quella di un essere umano. Anche su questo sono sincero: io non lo farei. Ma non sono il solo. È quello che succede a tutti i carnivori per scelta. Per sostenere e giustificare l’incubo dei nostri allevamenti è necessario che il nostro cervello “dimentichi” del tutto il peso della felicità di maiali, mucche e altri animali. Perchè è evidente che attribuire anche la minima importanza morale all’esperienza di vita di un maiale, è necessario ammettere che la nostra società si basa su un orrore mostruoso e sistematizzato.
Dopo cani e gatti, il diluvio
Se si guarda alla direzione delle nazioni avanzate, però, è chiaro che la preoccupazione per il benessere degli animali è in aumento. Governi e associazioni stanno lottando duramente per ridurre gli abusi e tutelare il più possibile gli animali. Quanto lo facciamo, però? E a parte cani e gatti, per chi lo facciamo?
Sembra un po’ un complesso di colpa: per sostenere moralmente la pratica degli allevamenti intensivi, siamo “costretti” a dirci che il benessere di un maiale conta infinitamente meno di quello di un cane o di un gatto. Tracciamo linee luminose tra gli animali di cui ci prendiamo cura e proteggiamo e trasformiamo in membri della nostra famiglia e gli altri animali che brutalizziamo e torturiamo sistematicamente per divorare la loro carne.
Allevamenti intensivi: lontano dagli occhi, lontano dal cuore
Naturalmente, fare quel tipo di distinzione arbitraria e assoluta è molto difficile, per questo rendiamo tutto più facile con noi stessi semplicemente non pensandoci. Teniamo gli animali che torturiamo lontano da noi stessi, curati da una classe speciale di lavoratori dedicati. In questo modo, solo molto occasionalmente, di fronte alla realtà siamo costretti a tirare fuori le nostre inconsistenti razionalizzazioni (“Questi animali non sarebbero nemmeno vivi se non li allevassimo per mangiarli”, ” Anche se smettessi di mangiare carne, la domanda per l’agricoltura non diminuirebbe di molto”, e così via).
Lo facciamo perché è psicologicamente necessario per noi farlo. La maggior parte degli esseri umani, la stragrande maggioranza, non rinuncia alla carne. Mancano dati ufficiali globali, ma qua e là ci sono statistiche molto chiare. In Italia è vegetariano l’8% circa della popolazione, al secondo posto in Europa con la Germania (8%) e sotto l’Austria (9%). In Cina il 4,5%. È una percentuale in crescita rispetto ai decenni precedenti.
Alla mostruosità morale dell’allevamento intensivo di animali si aggiunge quella ecologica. Allevare intensivamente animali è anche una gigantesca fonte di emissioni di carbonio. L’allevamento di bestiame, in particolare, dà origine a enormi quantità di gas serra, molti dei quali sono dovuti al disboscamento delle foreste per il pascolo.
Eppure non smetteremo così facilmente.
Eppure sono ottimista per il futuro
Perché sono ottimista sulla possibilità di abolire gli allevamenti intensivi di animali? Perché, come con il cambiamento climatico e molti altri problemi, il progresso tecnologico sta cambiando i compromessi che dobbiamo affrontare. Nel corso della mia vita, potrebbe essere possibile per l’umanità relegare gli allevamenti di animali nei libri di storia, senza cambiare i nostri stili di vita egoistici. E non sono l’unico a pensarlo.
La parola chiave? Carne artificiale. E quando dico “carne artificiale”, non intendo sostituti di origine vegetale come l’Impossibile Burger (non mi aspetto che questi incidano molto sul consumo di carne). Intendo carne che viene coltivata direttamente usando processi chimici, invece di far crescere un intero animale e tagliarne i muscoli. Intendo quello che chiamano “carne coltivata in laboratorio”, anche se alla fine non verrà coltivata in un laboratorio. Carne da coltura tissutale, coltivata in una fabbrica anziché in un allevamento intensivo.
Le differenze contano
A differenza della carne allevata, la carne da coltura tissutale può essere ottenuta in poche settimane (o in futuro anche meno). La carne di coltura tissutale ha molte meno probabilità di essere infettata da batteri, parassiti e così via, ed è molto meglio per l’ambiente. E in teoria, il costo di produrre direttamente tessuto muscolare, senza dover produrre anche ossa e pelle e cervello e tutto il resto (per non parlare del risparmio in termini di utilizzo del suolo) potrebbe essere inferiore a quello degli allevamenti di animali.
Soprattutto, la carne di coltura tissutale è vera carne. Sono cellule muscolari animali, senza l’animale. Certo, riprodurre la posizione del grasso come quella che c’è in una bistecca è una sfida, ma non insormontabile .
Anche per l’energia solare è stato così. Prima era proibitiva, oggi è competitiva con i combustibili fossili.
Addio agli allevamenti intensivi? Servono fondi
Chiaramente servono investimenti, sia privati che pubblici. Anche i governi devono scendere in campo e finanziare il settore per farlo emergere. Uno dei motivi, ovviamente, è il cambiamento climatico: ma c’è anche l’aspetto morale della questione. solo una volta che i sostituti accettabili diventeranno competitivi in termini di prezzo, l’umanità abbandonerà la pratica barbara degli allevamenti di animali.
Ragioniamo cinicamente: anche per il lavoro forzato è stato così. Finché ne avevamo bisogno e dove c’è n’è bisogno, si finge che non esista, si guarda altrove. Quando si riesce a meccanizzare un processo, la società può permettersi finalmente di “anatemizzare” il lavoro forzato. Brutto da dire, ma se gli uomini potranno mantenere il loro stile di vita senza mangiare animali, allora e solo allora lo faranno in massa e non avranno più bisogno di sfruttarli e macellarli.
Gli umani (o almeno, la maggior parte degli umani) sono mostruosi, ma non all’infinito.
Mangio carne, e non vedo l’ora di passare alla varietà “coltivata”. Quando la carne artificiale diventerà più economica della carne di allevamento, ci saranno certo anche delle resistenze. Non so, come quelle che oggi spingono le persone a inquinare ancora l’ambiente con il diesel, o a negare i cambiamenti climatici. Ma queste resistenze saranno sempre più ostracizzate e nel tempo il loro numero diminuirà. Alla fine ci sarà un cambiamento anche nelle nostre norme morali. Sarà considerato impossibile un ritorno agli allevamenti intensivi.
La moralità è un gioco di coordinazione: una volta che un numero critico di persone accetta che l’allevamento di animali è barbaro e sbagliato, gli animalisti avranno vinto. Ci sarà un effetto a cascata in cui in un breve lasso di tempo, gli allevamenti di animali passeranno dall’essere ampiamente accettati a combattuti ed emarginati. Nell’equilibrio risultante, solo iconoclasti ed eterni bastian contrari insisteranno nel mangiare carne tagliata dalle ossa di animali veri. E alla fine gli allevamenti di animali saranno vietati nella maggior parte delle aree del mondo. Fine.
Questo futuro deve essere il nostro obiettivo.
Non c’è nulla di distopico o innaturale in questa previsione: è solo un altro passo nel processo secolare di una specie mostruosa che usa la sua intelligenza e ingegnosità per permettersi di essere un po’ meno mostruosa. Dal momento che siamo troppo orribili per fare la cosa giusta e abbandonare l’allevamento di animali oggi, dobbiamo fare la cosa migliore: lavorare per sostituirlo con qualcosa di più economico e più delizioso.
Il prima possibile.