All’inizio di questa settimana Marc Lore, miliardario cinquantenne, ha parlato in un’intervista della città futura che sta progettando nell’ovest degli USA. Un progettino mica da niente: 400 miliardi di dollari e 5 milioni di persone.
Il nome scelto per questa futura “città stato”? Ovviamente una parola greca: Telosa, che significa “scopo più alto”.
E come sarebbe governata questa nuova “terra promessa”? Tra i dettagli del progetto, Lore ha coniato per l’occasione la parola “equitismo”: una sorta di crasi tra equità e capitalismo. Bella ideologia, che come capitato di recente copre la “semplice” necessità di farsi proprie regole per sfuggire alle ingiustizie perpetrate ai danni dei poveri miliardari.
E così vediamo tutto un fiorire di bei video e bei rendering di città “sovrane” avanzatissime che brulicano di verde e macchine volanti a energia solare.
Telosa e altre “città del Sole”: utopie (im)possibili?
L’utopia della città futura di Lore, come altri progetti simili (per lo più aborti) tra video di presentazione, “valori fondamentali” e “progettazione urbana sostenibile”, sembra più dettata dal fatto che il suo “creatore” si è stufato di pagare le tasse. Almeno nel modo tradizionale.
Tasse “di scopo” e città futura come startup
Nella città futura che Lore vuole costruire, il terreno sarà di proprietà di un trust privato su cui i cittadini sono liberi di costruire e vendere le proprie case. Le tasse saranno pagate principalmente per miglioramenti infrastrutturali della città votati dai cittadini. Un’ idea piuttosto banale, presentata come una “battaglia di idee” da votare.
Se vai nel deserto dove la terra non vale nulla, crei una fondazione che gestisce la terra e la gente va lì ad abitare pagando tasse per costruire infrastrutture, con la crescita della città futura il valore della fondazione aumenta. Potrebbe valere un trilione di dollari. E tutti saprebbero esattamente in cosa vengono spese le tasse che pagano.
Marc Lore in una recente intervista
Città futura: una palestra di tecnologia
L’imposizione della cultura delle startup su ogni aspetto della vita di un cittadino di Telosa sarebbe ovviamente accompagnata da un’infinità di tecnologie che presumibilmente sosterrebbero questa “cattedrale fiscale” nel deserto.
Tetti fotovoltaici, serbatoi dell’acqua sopraelevati, fattorie aeroponiche, servizi ecologici rigenerativi, innovazioni energetiche e auto a guida autonoma.
Tra le prime aziende a collaborare ufficialmente con Telosa quelle nel campo degli aerotaxi elettrici, un po’ come a Dubai.
Self made city
Lore si dice affascinato dall’idea di “qualcosa che nasce dal nulla”. Sembra un elogio a sé stesso: un uomo che ha iniziato la sua carriera in banca e oggi ha un attico da 40 milioni di euro (con una statua in bronzo di Benjamin Franklin a grandezza naturale).
Eppure la fisica ce lo ha insegnato: niente nasce dal nulla e cresce così, per magia. La sfida è improba, e sembra un incubo sul piano della sostenibilità. Inutile ricordare che il deserto è molto caldo, e l’acqua scarseggia: cose che non sembrano fermare i desideri di Lore e di molti altri facoltosi. Perché?
Da un po’ di tempo, infatti, il sogno di generare future città di nuova concezione usando intelligenze più o meno artificiali ha spinto un numero sorprendente di aziende e miliardari a tentare l’impresa. E tutti sembrano insistere su territori con problemi strutturali notevoli e difficili da risolvere se non con un “bagno di sangue” ambientale.
I “nuovi padri fondatori”
Prima di Telosa, gli esempi si sprecano. Bill Gates ha il suo progettino di città futura che sta costruendo nel sud-ovest dell’Arizona, nel 2017 ha acquistato quasi 100 chilometri quadrati (25.000 acri). Lì spera di installare un data center e lanciare un modello di trasporto basato su auto a guida autonoma.
A inizio anno, nel Nevada, un imprenditore nel settore bitcoin chiamato Jeffrey Berns ha avviato le procedure per fondare un territorio autogoverno chiamato Painted Rock. Quasi un tecno governo, esteso su 270 chilometri quadrati (67.000 acri), dove i servizi sarebbero basati su blockchain.
Akon City è invece il nome del progetto di futura città lanciato nel 2018 dal cantante e imprenditore afro americano Akon. Dovrebbe sorgere in Senegal, e questo ha fruttato al progetto la qualifica d’ufficio di “Wakanda in versione reale” (lo Stato ipertecnologico africano raccontato nell’universo Marvel).
L’Arabia Saudita è invece il luogo prescelto per la fondazione di Neom, città “lineare” che si estende per la lunghezza di 170 chilometri (105 miglia) nel deserto. Il fondatore, il principe saudita Mohammed Bin Salman, dice che la città futura sarà percorribile in appena 20 minuti con avveniristici mezzi di trasporto.
BiodiverCity, invece, è una futura città arcipelago per 16.000 abitanti disegnata da Bjarke Ingels che vuole prendere vita al largo delle coste della Malesia. Tre isole collegate tra loro via terra, mare e cielo da veicoli, natanti e velivoli autonomi.
Ingels è dietro anche al progetto del villaggio tecnologico (70 ettari, meno di un chilometro quadrato) chiamato pomposamente Woven City e annunciato da Toyota nel gennaio 2020. Anche lì veicoli autonomi, domotica e robotica per tutti i cittadini (dipendenti dell’azienda giapponese).
Città futura: lo “scopo più alto” è un altro
In alcuni di questi scenari, nonostante tutte le spacconate su un futuro sostenibile e società più eque, le carenze sono gigantesche, specie quelle idriche. Una circostanza che qualifica tanti di questi progetti di città futura come carta straccia. O mostra una diffusa certezza da parte dei miliardari tecnologici di superare problemi che sembrano insormontabili.
O ancora, ci fa capire che queste mosse sono dettate da un altro tipo di urgenza.
Si salvi chi può
Nel 2018, al futurista Douglas Rushkoff è stata offerta una cifra esorbitante per parlare a quello che credeva fosse un panel, ma in realtà era una piccola conferenza di investitori.
Questi investitori non volevano le idee di Rushkoff sul futuro quanto le sue opinioni. Su cosa? Su quali paesi sarebbero stati meno colpiti dal cambiamento climatico e soprattutto su come avrebbero “mantenuto l’autorità” sulle loro forze di sicurezza “dopo il degrado del tessuto sociale”.
Da allora sono emersi report significativi sui tentativi dell’industria tecnologica di isolarsi dal disastro imminente, preparando esili dorati con i soldi guadagnati tramite un’industria che talvolta ha fatto proprio questo. Ha accelerato l’instabilità politica e il declino ecologico.
Prendi i soldi e scappa
C’è sicuramente qualcosa di suggestivo nell’idea di Telosa, 5 milioni di persone che vivono in una futura città giardino tecnologica. Un’oasi nel deserto dove tutti vivono, lavorano, votano tramite app.
Il futuro oscuro più probabile, però, è che questi “nuovi padri fondatori” useranno il loro denaro e il loro talento per mettersi al riparo quando i problemi che il mondo sta tentando di affrontare diventeranno particolarmente gravi.
I super ricchi, in altri termini, hanno riserve d’acqua (il già citato Jeffrey Berns che sta costruendo Painted Rock ne acquistò 200.000 litri, 7.000 piedi cubi, in due bacini sotterranei separati), jet privati e bunker in Nuova Zelanda. E vogliono farli valere.
Quantomeno è ovvio che queste gloriose visioni di città futura, col loro contorno di slogan stimolanti su uno “scopo più alto”, sono molto diverse dai loro piani di emergenza privati.