In un edificio nuovo di zecca nella città svedese di Luleå, il produttore di acciaio SSAB sta usando un nuovo metodo di produzione che potrebbe rivoluzionare il settore altamente inquinante dell’acciao, eliminando quasi tutte le sue emissioni di CO2.
Attenzione, però: far funzionare il metodo su larga scala presenta grandi sfide, e questa tecnica potrebbe non essere decisiva come tutti sperano. I critici sostengono che potrebbe semplicemente spostare altrove le emissioni. Un bel guaio, eh? Trovare modi per decarbonizzare l’acciaio , una componente indispensabile dell’industria moderna, è una delle chiavi per ridurre drasticamente le emissioni e raggiungere gli obiettivi climatici.
Acciao, un elefante in una cristalleria
Tra le industrie pesanti, quella della produzione di acciaio è la numero uno per emissioni di CO2 secondo la IEA.
La World Steel Association stima che l’industria rappresenti dal 7% al 9% circa delle emissioni causate dall’uomo in tutto il mondo, con una stima di 2,6 miliardi di tonnellate di CO2 emesse nel solo 2020.
Sotto con l’acciaio “verde”. Ma quanto è verde?
A Luleå, l’aspetto sterile del nuovo edificio è in netto contrasto con il vicino altoforno ricoperto di fuliggine che dovrebbe sostituire. Con il suo caratteristico bagliore arancione del metallo fuso, l’altoforno è il metodo principale per produrre acciaio oggi.
Cambiando tecnologia da un normale altoforno in cui usiamo carbone ed emettiamo CO2 , ci ritroviamo invece con acqua normale. Possiamo ridurre del 90% le emissioni dalla produzione di acciaio.
Monica Quinteiro, responsabile dell’impianto SSAB
Via l’ossigeno, via il problema?
Il minerale di ferro che esce da una miniera è solitamente ricco di ossidi, composti chimici formati da ferro e ossigeno, la cui forma più nota è la ruggine. Per fare l’acciaio, tutto quell’ossigeno deve essere rimosso, e a Luleå lo fanno in modo un po’ diverso. “Invece di utilizzare aria riscaldata, facciamo circolare gas di idrogeno caldo”, spiega Quintero. L’idrogeno, come il carbonio nel coke, si lega con l’ossigeno nel minerale di ferro, creando invece acqua.
Sebbene la cosiddetta riduzione diretta del ferro non sia del tutto nuova, il nuovo impianto (che fa parte di un progetto chiamato HYBRIT) si distingue per l’utilizzo dell’idrogeno, prodotto dall’elettrolisi, e per l’elettricità nel processo di produzione proveniente solo da fonti rinnovabili.
Se il progetto pilota funzionerà e sarà ampliato, dice la Quintero, “possiamo in linea di principio risolvere la causa principale delle emissioni di CO2”.
Eppure per l’acciaio verde le sfide restano
Ad agosto, SSAB ha spedito il primo lotto di lamiere d’acciaio, 25 tonnellate, realizzate con il nuovo processo, etichettato come “fossil-free” al produttore di camion Volvo. È una goccia nell’oceano rispetto agli 1,86 miliardi di tonnellate di acciaio spedite dai produttori di acciaio nel 2020, secondo la World Steel Association.
Ma SSAB mira a produrre 1,5 milioni di tonnellate di “acciaio senza fossili” all’anno a partire dal 2026, rispetto alla sua attuale produzione di 7,5 milioni di tonnellate all’anno. Si può fare più rapidamente? Chissà.
Il più grande ostacolo alla produzione su vasta scala è l’accesso all’elettricità, in particolare quella prodotta da fonti rinnovabili. Per operare su larga scala, SSAB avrebbe bisogno di circa 15 terawattora (TWh) di elettricità all’anno. Per l’estrazione “pulita” del ferro, invece, servono 55 TWh. È tanto. È troppo. Per farvi capire, il totale rappresenta circa un terzo del consumo totale di elettricità dell’intera Svezia.
Dubbi su dubbi
“Ci vogliono enormi quantità di elettricità, in un momento in cui la produzione di elettricità è già a rischio”, dice Christian Sandstrom, professore associato presso la Jonkoping International Business School. Sandstrom e due colleghi hanno scritto un articolo in ottobre criticando il progetto e mettendo in dubbio l’etichetta “fossil-free”.
L’effetto reale di questo acciaio a base di idrogeno è un maggiore consumo di elettricità, e da quello che possiamo vedere non ci sono segni che l’elettricità stia diventando totalmente “fossil-free”.
Christian Sandstrom, professore associato presso la Jonkoping International Business School.
Eppure le cose continuano a muoversi. A febbraio, la neonata società svedese H2 Green Steel ha annunciato l’intenzione di costruire una struttura che sarebbe operativa nel 2024. La società cinese HBIS, terzo produttore mondiale di acciaio, a maggio ha annunciato di aver avviato la produzione in un impianto dimostrativo per la propria riduzione diretta del ferro utilizzando l’idrogeno.
Forse va ridiscusso il metodo, forse c’è da attendere ancora per avere più elettricità da rinnovabili, ma molti scommettono che l’acciaio verde sarà davvero il futuro.