La scoperta del teschio di un bambino di 4-6 anni, ha regalato agli archeologi delle grotte di Rising Star nuove interessantissime informazioni.
In Sudafrica, le ricerche storiche sull’origine dell’umanità sono significativamente aumentate, soprattutto dopo la scoperta del sistema di grotte chiamato “Rising Star”.
In questo punto, a breve distanza da Johannesburg, gli archeologhi hanno avuto la possibilità di recuperare più di 2.000 frammenti di scheletro, tra cui il particolarissimo teschio.
Vediamo nel dettaglio cosa è successo e cosa pensano i diretti interessati di questa nuova avvincente scoperta.
Il teschio di Johannesburg
Il teschio del bambino è purtroppo solo parziale. Mancano alcuni punti cruciali, e gli archeologi stanno provano a ricostruire l’intera figura.
Da quello che sappiamo, il bambino appartiene al gruppo del Homo Naledi, già presente all’interno delle grotte. Il sistema di Rising Star esiste dal 2013 e, fino ad oggi, ha permesso il ritrovamento di tantissimi frammenti diversi. Addirittura, il sito è oggi considerato come uno dei più ricchi di fossili mai trovati in Africa.
Lo scheletro sembra avere 250.000 anni, ed è incredibile la sua perfetta conservazione. Questa scoperta è così speciale perché, in tutti gli studi precedenti, sono stati identificati solo i denti e parti della mascella inferiore dei bambini.
Adesso, invece, si ha la possibilità di analizzare un intero teschio, osservando la conformazione della testa degli individui più giovani.
Darryl de Ruiter, professore e capo di antropologia presso la Texas A&M University, ha descritto brevemente il momento del ritrovamento, affermando che: “Non c’erano parti replicanti quando abbiamo rimontato il cranio e molti dei frammenti rimontati, indicando che provenivano tutti da un singolo bambino”.
Il cranio di Leti
Il teschio trovato nei pressi di Johannesburg prende il nome di “Leti”, temine che nella lingua tribale Setswana significa “il perduto”.
Gli archeologi sono riusciti a ricostruire gran parte del cranio grazie alla presenza di 28 frammenti diversi e 6 denti. La quantità consistente di reperti ha sorpreso il team di ricercatori, che solitamente non riescono a trovare resti giovanili.
Nella maggior parte dei casi, le ossa dei più piccoli tendono ad essere particolarmente fragili e a scoprire nel tempo. Leti è un esemplare rarissimo, che merita di ricevere la giusta attenzione.
E’ d’accordo anche Juliet Brophy, la ricercatrice che ha condotto lo studio sulla condizione del cranio e dei denti di Leti.
“Questo è il primo cranio parziale di un bambino di Homo Naledi ancora recuperato e questo inizia a darci un’idea di tutte le fasi della vita di questa straordinaria specie”.
La scoperta del teschio di Leti permette di conoscere qualcosa in più sulla specie primitiva del Homo Naledi. I ricercatori avranno così la possibilità di approfondire le dinamiche del tempo e comprendere la cultura dell’uomo primitivo e ciò che gli permetteva di vivere.
Il mistero del ritrovamento
Dietro il ritrovamento del cranio di Leti si nasconde un piccolo mistero.
Più che di un mistero, è possibile parlare di curiosità. Gli archeologi si chiedono tutt’ora come abbia fatto il piccolo bambino a raggiungere una parte così remota ed inaccessibile del sistema di grotte.
I resti di Leti sono infatti stati ritrovati in un passaggio largo solo pochi centimetri, e senza la vicinanza di alcuna parte del corpo. Non ci sono tracce di danni o colpi particolari lungo in cranio, quindi è probabile che gli atri membri della specie siano stati coinvolti nello spostamento dello scheletro.
Il lavoro degli archeologi all’intero delle grotte di Rising Star continua tutt’ora, con lo scopo di portare alla luce nuovi incredibili reperti. Alcune camere, non ancora analizzate dal team, potrebbero nascondere altri resti di Homo Naledi, ed è bene guardare più da vicino.
“La scoperta di un singolo teschio di un bambino, in una posizione così remota all’interno del sistema di grotte, aggiunge mistero su come questi numerosi resti siano venuti a trovarsi in questi spazi remoti e oscuri del sistema di grotte Rising Star”, afferma Berger. “È solo un altro enigma tra i tanti che circondano questo affascinante parente umano estinto”.
Lo studio appare sulla rivista PaleoAnthropology.
Fonte: Texas A&M University