Il governo USA fa passi verso la trasformazione in realtà di qualcosa che sembrava fantascienza. Mercoledì, la National Academy of Sciences ha rivelato una nuova ricerca che dettaglia sei mezzi per praticare geoingegneria sugli oceani in modo da intrappolare più anidride carbonica e trattenerla per secoli.
Il report (oltre 300 pagine sottoposte a peer-review) esamina una serie di idee. Tra queste, stimolare le correnti elettriche nell’acqua di mare e scaricare ferro nell’oceano per creare fioriture massicce di plancton. Tutte sono ancora in fase iniziale, ma il documento funge da tabella di marcia per sviluppare i progetti e un quadro giuridico per l’eventuale adozione di queste tecniche.
Prove tecniche di “sequestro”
Il termine generico per questi metodi sarebbe ”sequestro della CO2”, ed in questi casi è una vera e propria forma di geoingegneria. Non abbiamo la capacità di attuarli in questo momento. I pochi metodi (tutti terrestri) già in campo costano ancora troppo: questo nuovo report analizza gli oceani, quello che può essere considerato il “pozzo” più grande dove mettere la CO2.
Gli oceani stanno assorbendo molto del nostro inquinamento. Sta diventando difficile (riformulo: impossibile) mantenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia di 1,5 gradi Celsius (2,7 gradi Fahrenheit) delineata negli accordi internazionali. La forma più studiata di geoingegneria oceanica è la fertilizzazione con ferro, per incoraggiare le fioriture di plancton ad assorbire carbonio. Altre tecniche, parimenti familiari, contemplano coltivazione di alghe e forme di ripristino dell’ecosistema.
Altre tecniche di geoingegneria sono più fantasiose. Tra queste vi sono l’induzione di upwelling e downwelling artificiali, in modo che l’acqua dell’oceano in superficie assorba più carbonio, quindi lo porti giù in profondità. Un altro approccio è mettere calce o altri agenti alcalini nell’oceano. Questo aiuterà a ridurre l’acidificazione degli oceani causata dalla CO2 e renderà più facile per gli oceani assorbire l’inquinamento da carbonio. Il terzo modo è filtrare l’acqua di mare attraverso macchinari che attirerebbero e immagazzinerebbero la CO2.
Geoingegneria ambiziosa: le conseguenze
Tutte queste tecniche di geoingegneria hanno molti ostacoli da superare.
Sul piano della fattibilità: Scaricare il ferro in mare, per esempio, può avere effetti dannosi sulla vita marina e sulla pesca, mentre rimuovere l’anidride carbonica dall’acqua richiederebbe una quantità significativa di elettricità. E molti dubitano della permanenza di questi approcci. Per funzionare, la CO2 sequestrata dovrebbe finire davvero sul fondo marino. Se resta nei primi 3.280 piedi (1.000 metri) dell’oceano tornerà nell’atmosfera annullando tutti gli sforzi. Tutti questi dubbi richiedono ampi approfondimenti.
Sul piano normativo: l’accordo di Parigi fornisce un supporto implicito alla rimozione dell’anidride carbonica con diverse menzioni di pozzi di assorbimento del carbonio. Ma altri trattati, come la Convenzione sulla diversità biologica, pongono moratorie di fatto sulla geoingegneria dei mari. Anche qui serve un approfondimento.
In sintesi
Nel complesso queste difficoltà frenano l’adozione di metodi di geoingegneria sugli oceani, ma non la fermano. E d’altra parte serve prenderli in considerazione (se sicuri, ovviamente): per centrare l’obiettivo, il mondo dovrà rimuovere ogni anno circa 10 miliardi di tonnellate di CO2 dall’atmosfera entro il 2050. Un obiettivo che potrebbe costare oltre 2 miliardi di euro.
L’aspetto economico, a sua volta, conta moltissimo: la cattura della CO2 (anche attraverso la geoingegneria degli oceani) “minaccia” di arricchire in modo pazzesco il settore privato. Intorno ad un’impresa del genere (ripeto: 10 miliardi di tonnellate di CO2 da sequestrare ogni anno) potrebbe nascere un’industria da 1000 miliardi di euro l’anno. un’industria da 1 trilione di dollari all’anno.
Anche per questo il report chiede che il quadro legale “robusto” sia stabilito dai legislatori, ma che gli studi nascano anche da investimenti privati.