Il progetto di laurea di Mazyar Etehadi, valente studente del Dubai Institute of Design and Innovation, ha qualcosa di poetico da dire.
A’seedbot, questo il suo nome, è il concept di un piccolo robot che pianta semi nel deserto. Un Jean Giono in plastica e ferro, un Wall-E di un mondo parallelo. A’seedbot vuole convertire il terreno sabbioso inutilizzabile del deserto in un paesaggio verdeggiante. Un seme per volta. E vuole farlo attingendo energia dai pannelli solari sul suo dorso (e muovendosi di giorno, immagino).
A’seedbot: prendi un deserto e fanne un giardino
Sorvolo sul valore simbolico di un concept del genere (la Pixar dovrebbe farci un pensierino). A’seedbot può avere molti piani di lettura: un robot che parte ogni mattina con le sue “zampette” ad elica mentre pianta semini nella sabbia soffice è tutto. È sogno, è ricerca. È anche sfida al futuro. E piattaforma di test.
“Il robot è dotato di pannelli solari per ricaricarsi durante il giorno e procedere sul deserto di notte, per identificare aree fertili, riferire su di esse e semi di piante in base ai dati recuperati dai suoi sensori e dal sistema di navigazione”, dice Mazyar.
Cerca il posto migliore, lo rende ancora migliore
Palladio insegna: “la forma segue la funzione”. Per A’seedbot questo principio vale eccome. Il design longitudinale del robot ‘giardiniere del deserto’ può essere separato in 3 parti, ciascuna con un compito: “Vedere”, “Navigare” e “Piantare”.
Due sensori ad ultrasuoni sulla parte anteriore consentono al robot di valutare il terreno antistante, mentre una testa mobile gli consente di guardare in varie direzioni per scegliere il percorso giusto.
Una volta deciso, le “zampe” aiutano A’seedbot a spingersi in avanti e persino a cambiare direzione. Sembra una piccola foca bianca: una foca artica sul deserto (troppa poesia, basta).
Quanti ne servirebbero?
Difficile dirlo: la sua progettazione e ad uno stadio veramente embrionale. Però ha un suo perchè: una unità di elaborazione interna aiuta il robot a comprendere i punti migliori dove piantare nel deserto e monitorare periodicamente i semi. I pannelli solari sulla parte superiore aiutano il robot a percepire l’impatto del sole, fornendogli anche energia, che viene immagazzinata nella batteria interna .
Un esercito di questi aggeggi potrebbe giovare alla causa della Grande Muraglia Verde? Vedremo in futuro: sarebbe bello che il deserto diventasse pian piano una piccola eccezione in mezzo all’oasi, e non viceversa.