I ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia hanno sviluppato un velcro morbido, biodegradabile e solubile basato sulla struttura a micro-anello delle foglie di una pianta chiamata “attaccamani”.
Il team ha usato il materiale appena realizzato per costruire piccoli dispositivi che monitorano la salute delle piante coltivate, per fornire loro medicine e nutrimento secondo necessità. Il tutto nell’ambito di un progetto di ricerca pubblicato sulla rivista Communications Materials.
Il velcro, nascita di una piccola stella
Il creatore di Velcro era un ingegnere svizzero di nome George de Mestral. Nel 1948, de Mestral si prese una vacanza di due settimane dal lavoro per andare a caccia: durante un’escursione col suo pointer irlandese nelle montagne del Giura, fu tormentato dai semi di bardana selvatica. Quei disgraziati si attaccavano inesorabilmente sia ai suoi abiti che alla pelliccia del cane. Tenaci, tenacissimi.
Al punto che De Mestral ne volle esaminare alcuni al microscopio.
Notò che l’esterno di ogni seme era ricoperto da centinaia di minuscoli uncini che si agganciavano ad anelli di filo o, nel caso del cane, pelliccia. E gli venne un’idea. Era nato il Velcro (dalle parole francesi VELours, “velluto”, e CROchet, “gancio”).
Il velcro, introdotto nel 1960, non fu un successo immediato, ma la NASA lo trovò utile per gli astronauti. Da quel momento iniziò la sua ascesa fino alla vendita di 60 milioni di metro l’anno: il buon De Mestral, alla sua morte nel 1990, era multimilionario.
Oggi è praticamente ovunque
Il velcro è utilizzato in molte cose come scarpe, zaini, portafogli, giacche e cinturini. Lo hanno usato perfino per aiutare un cuore umano a stare insieme durante il primo trapianto di cuore artificiale. Essendo il velcro realizzato in nylon, l’idea di farne una versione biodegradabile è fantastica. Come è stata sviluppata?
La scienziata Isabella Fiorello e i suoi colleghi volevano trovare nuovi modi per monitorare le piante. Si sono chiesti se ci fosse un modo per attaccare i loro dispositivi alle foglie senza danneggiarle. Avevano davanti due opzioni: incollarli chimicamente o usare cerotti con microaghi.
Alla fine hanno trovato ispirazione nella comune pianta erbacea (galium aparine). Può formare densi grovigli sul terreno e, sebbene cresca fin quasi 2 metri (6 piedi), non può stare in piedi da sola e usa altre piante per il supporto. Per questo si affida a un meccanismo di ancoraggio a microuncini.
Il team italiano ha studiato questa piccola struttura molto da vicino, ha poi usato una stampante 3D per crearne delle versioni artificiali. Il velcro “naturale” è stato testato con diversi materiali, inclusi quelli fotosensibili e biodegradabili a base di isomalto (si, quello usato anche per le torte). Ha funzionato.
Un velcro biodegradabile per aiutare le piante
Come applicazione iniziale, il team ha progettato un dispositivo in grado di penetrare nella cuticola di una pianta con la minima invasività, consentendo così di monitorare e trattare la pianta, se necessario. I microuncini di “velcro” con isomalto si attaccano al sistema vascolare delle foglie e poi si dissolvono all’interno, perché l’isomalto è solubile.
Gli esperimenti hanno dimostrato che i micro-aghi artificiali potrebbero essere utilizzati come cerotto “a rilascio intelligente”, per usare meno pesticidi possibile. I cerotti in velcro biodegradabile si dissolvono una volta applicati, quindi non ci sono sprechi.
Il team ha anche stampato dei ganci fatti di una resina fotosensibile e li ha assemblati insieme a sensori di luce, temperatura e umidità per creare delle clip intelligenti. Queste clip si attaccano alle singole foglie per trasmettere dati in modalità wireless utilizzando un software personalizzato.
Il prototipo è stato in grado di effettuare misurazioni fino a 50 giorni in condizioni di vento. Il dispositivo può essere utilizzato per applicazioni botaniche su piccola scala o in scala maggiore, come gli agricoltori che distribuiscono molti dispositivi per mappare e monitorare meglio grandi aree di coltivazione.
I prossimi passi
Il team della d.ssa Fiorello non ha sviluppato solo un velcro biodegradabile, questo penso di averlo chiarito. Ma ha fatto di più anche rispetto al sistema avanzato di monitoraggio e nutrimento delle piante. Ha sviluppato anche una sorta di micro in grado di muoversi sulla superficie della foglia a piccoli passi. Si muove proprio come farebbe una pianta. Un meccanismo simile a quelli precedentemente dimostrati nello SpinyBot della Stanford University, e nei robot CLASH di Berkeley, capaci di arrampicarsi su superfici di stoffa sospese e sciolte, come tende.
Quella italiana però ha qualcosa in più. “Per quanto ne sappiamo, questa è la prima macchina proof-of-concept ispirata alle piante in grado di muoversi su una foglia”, scrivono gli autori. Per questo però servirà superare degli ostacoli: capire anzitutto come far funzionare un robot del genere in condizioni atmosferiche come quelle esterne.