Data la crescente richiesta di memorizzazione dei dati, la tecnologia si sta muovendo per migliorare le prestazioni offerte dai dati olografici. L’obiettivo è quello di riuscire a conservare quanti più dati possibile, senza intaccarne la qualità.
Fermatevi un attimo a pensare alla quantità di dati digitali che vengono processati ogni giorno. Dai post sui social media, alle mail di lavoro, alle pubblicità, alle foto, ognuna delle nostre azioni digitali produce dei dati.
Un mondo di dati
A loro volta, ciascuno di questi dati deve essere memorizzato e ricordato. Il numero attuale di dati in giro per il mondo è davvero impressionante, e sembra aumentare giorno dopo giorno.
Si stima che intorno al 2025 arriveremo a 200 zettabyte, una quantità di informazioni davvero incredibile. Eppure, la tecnologia ed i metodi di archiviazione attuali non sembrano in grado di soddisfare la crescente richiesta.
L’archiviazione sul cloud è sempre più richiesta, perché permette di registrare e conservare i propri dati direttamente online (senza il supporto fisico). Ma, anche in questo caso, la capacità di soddisfare il pubblico si sta lentamente esaurendo.
Siamo arrivando al punto in cui la necessità di storage cresce più velocemente della capacità di storage. I ricercatori devono pensare a qualcosa, ed i dati olografici sembrano la soluzione più intelligente al momento.
Ant Rowstron, ricercatore alla Microsoft Research Cambridge, ha iniziato a collaborare con Microsoft Azure, proponendo un modello di storage olografico.
I dati olografici per salvare la memoria
Prima di approfondire la proposta di Rowstron, è giusto chiarire cos’è e come funziona l’archiviazione olografica.
I dati olografici vengono registrati all’interno di un minuscolo ologramma, situato all’interno di un cristallo a forma di cubo. Anziché utilizzare un supporto “rigido”, ci si affida ad un sistema incredibilmente innovativo.
Per poter entrare all’interno dell’ologramma, i dati sfruttano la luce – in particolare un raggio laser – che gli permette di muoversi nello spazio. Ogni blocco di dati prende il nome di pagine, e contiene fino ad un centinaio di kilobyte di dati, abbastanza facili da recuperare.
Basta infatti trasmettere all’ologramma un impulso di luce, successivamente catturato da una telecamera. L’azione combinata dei due elementi permette di ricostruire la pagina dati, riportando le informazioni alla realtà.
Più veloce, più sostenibile
Secondo Benn Thomsen, ricercatore presso Microsoft Research, uno dei principali punti di forza del progetto riguarda proprio la velocità di accesso ai dati. Rispetto ad un disco rigido, l’accesso al Cloud è estremamente più rapido.
Oltre che essere più veloce, l’archiviazione tramite dati olografici è anche più ecologica e sostenibile. Non avendo bisogno di parti fisiche, il sistema di memorizzazione ha la potenzialità di resistere all’infinito, senza inquinare o rovinare l’ambiente.
Parliamo quindi di un metodo funzionale ed estremamente positivo, che potrebbe rivoluzionare per sempre il servizio di archiviazione dei dati.
Quanto ci vorrà? Ancora un po’. Ci vorranno diversi anni prima di poter vedere realizzato un sistema affidabile di dati olografici, ma appare più un “quando” che un “se”.