La maggior parte delle cronache sull’influenza spagnola del 1918 dice che la pandemia finì ufficialmente nell’estate del 1919, quando una terza ondata di malattie respiratorie finalmente si placò, dopo aver ucciso almeno 50 milioni di persone in tutto il mondo.
Tuttavia, il virus continuò ad uccidere. Una variante apparsa nel 1920 fu abbastanza letale da poter essere considerata una quarta ondata. I decessi in alcune città superarono anche quelli della seconda ondata, che fu responsabile della stragrande maggioranza delle morti. La “quarta ondata” di influenza spagnola colpì duramente anche i paesi nei quali la popolazione aveva già una elevata immunità naturale dal virus, dopo due anni di contagi e nonostante la letalità fosse diminuita.
La quarta ondata
Quasi tutte le città occidentali imposero restrizioni anche durante la pandemia di influenza spagnola, che raggiunse il picco nell’autunno del 1918, e molti controlli furono introdotti anche l’anno seguente. Nel 1920, invece, nessuna città rispose all’appello. Governi e gente comune erano stanchi dell’influenza. I giornali erano pieni di notizie spaventose, ma non importava più a nessuno.
La gente dell’epoca ignorò la quarta ondata, e così ha fatto gran parte degli storici. I decessi tornarono ai livelli pre-pandemia solo nel 1921 e il virus dell’influenza spagnola si trasformò nella normale influenza stagionale, ma il mondo era andato avanti già mesi prima. Non dovremmo ripetere quell’errore.
Non ignoriamo la lezione dell’influenza spagnola
È vero, mai come adesso abbiamo tutti i motivi per essere ottimisti. Primo, perchè i casi di Omicron stanno diminuendo in buona parte del mondo. Secondo, nei paesi più colpiti (tra cui il mio, l’Italia) quasi tutta la popolazione è ormai guarita o vaccinata, e possiede un “bagaglio immunitario” più forte che nel 2019. Terzo, sebbene Omicron sia straordinariamente abile ad infettare il tratto respiratorio superiore (cosa che lo rende più trasmissibile) sembra meno bravo ad infettare i polmoni rispetto alle varianti precedenti.
È del tutto possibile e forse anche probabile che a causa di migliori risposte immunitarie, il virus continuerà a diminuire in letalità e, come l’influenza spagnola del 1918, potrebbe perdere del tutto la sua capacità di legarsi alle cellule del polmone.
Eppure, dopo due anni di lotta, i pericoli che si accompagnano ad Omicron oggi sono l’eccessiva sicurezza, l’indifferenza e la stanchezza.
È il momento di tenere duro
Segni di stanchezza (o eccessivo ottimismo) sono praticamente ovunque. Resterò sul caso italiano, ma l’esempio potrebbe essere facilmente portato a tutta l’Europa, o agli Stati Uniti, o in UK.
Sebbene in Italia oltre il 90% della popolazione over 12 sia completamente vaccinata i progressi sulla terza dose sono praticamente stagnanti: ad oggi una percentuale inferiore, l’83% circa, ha ricevuto il “booster” che contribuisce a proteggere dalle conseguenze più gravi del virus. Sebbene il Governo abbia praticamente imposto l’apertura di tutte le scuole, solo il 20% dei ragazzi tra i 5 e gli 11 anni ha ricevuto un ciclo completo. (fonte aggiornata al 8/2/2021 – https://www.governo.it/it/cscovid19/report-vaccini/)
E soprattutto, la gente (comprensibilmente stanca) sta per allentare la presa sulle precauzioni, incoraggiata da media e provvedimenti che forse sono leggermente prematuri nella situazione attuale.
Questo è cedere il controllo al virus
Il risultato potrebbe portare a una media di decessi ancora alta, e ancora troppo a lungo. Persone, per buona parte fragili, non numeri da mettere in conto come inevitabili “effetti collaterali”.
Il virus potrebbe non essere finito. Anche se c’è una buona probabilità che le varianti future siano meno pericolose, l’unica cosa che possiamo dire con certezza è che se si affermeranno nuove varianti, sarà perchè svilupperanno la capacità di eludere le nostre difese. E questo, a prescindere dalla letalità, potrebbe renderle ancora dannosissime.
È stato il caso della quarta ondata di influenza spagnola, nel 1920. Ma non c’è bisogno di soffermarsi solo sull’influenza spagnola, e sull’errore di sottovalutarne “le code”. Questo è stato un errore ripetuto ancora e ancora, con le pandemie influenzali del 1957, del 1968 e del 2009. Negli USA, 1960, una variante, che doveva ancora essere completamente eradicata, causò una mortalità epidemica che superò i livelli pandemici nel 1957 e 1958. Nel 1968, una variante in Europa causò più morti il secondo anno, anche se, di nuovo, era disponibile una vaccinazione e molte persone erano state già colpite l’anno precedente.
Influenza spagnola e anni successivi, sempre lo stesso errore di “Lassez-faire” di politica e media
Anche nel 2009 sono emerse varianti che hanno causato malattie gravi: una ricerca nel Regno Unito ha rivelato “un maggior carico di malattie gravi tra gli individui di età superiore ai 65 anni” nell’anno successivo all’epidemia, ma “molta meno sensibilizzazione nei media sull’influenza”. Secondo lo studio, fu da biasimare l’atteggiamento del governo. La risposta della sanità pubblica era stata “molto attiva” nel fornire informazioni nel primo anno. Nel secondo anno, invece, la strategia fu di “laissez-faire”. Di conseguenza, conclude lo studio, “ci fu un gran numero di morti e ricoveri in terapia intensiva anche di persone senza altre malattie, e in età lavorativa”.
Questi precedenti dovrebbero renderci più cauti, e restare prudenti anche davanti alle “sirene” che ci promettono una resa senza condizioni del virus. Serve ancora un po’ di tempo.
L’influenza spagnola ci insegna che la guerra finirà solo a due condizioni, e non subito
I vaccini, il nuovo farmaco antivirale Paxlovid e altri rimedi porranno quasi certamente fine alla pandemia, ma solo a due condizioni: prima, che miliardi di dosi siano ampiamente disponibili a livello globale e che le cure con gli antivirali siano possibili anche a casa. Seconda e ovvia, che il virus non sviluppi resistenza.
La fine non arriverà domani.
Il futuro immediato è ancora nelle mani del virus, mentre continuiamo a combattere con un arsenale migliore (vaccini, mascherine, ventilazione degli ambienti, antivirali e l’unica terapia monoclonale che funziona contro Omicron).
Media e politica possono avere anche (legittimamente) l’interesse a farci abbandonare le misure più stringenti per esigenze (anche queste legittime) di ripresa economica e di equilibrio sociale nel suo complesso, senza considerare altre migliaia di morti come semplice conseguenza statistica.