Houston è la quarta città più popolosa degli Stati Uniti, e negli ultimi 10 anni ridotto del 63% il suo tasso di senzatetto. Un nuovo record mondiale dopo quello stabilito da Helsinki (ve ne ho parlato qui).
Come ci è riuscita? Con un approccio simile a quello della città finlandese: l’approccio “Housing First”. Niente assistenza a pioggia, niente incentivi, niente dissuasione, nessuna “panchina accogliente” (in assoluto l’azione più ipocrita possibile). Al posto di queste azioni effimere, i senzatetto ricevono casa il più rapidamente possibile. I passi successivi? Lotta alle eventuali dipendenze sviluppate, o a eventuali problemi di salute mentale, e ricerca del lavoro.
I buoi davanti al carro, non viceversa
La logica di Housing First è tanto semplice quanto sorprendentemente ignorata da mezzo mondo. Non aiuti chi sta annegando provando a fargli un corso di nuoto: devi prima tirarlo fuori dall’acqua.
E nella sua semplicità, Housing First ha dalla sua la forza delle cifre. I media locali riportano una enorme inversione di tendenza. I senzatetto non sono più aumentati a partire dal 2007, e si sono progressivamente ridotti fino al 31% in tutto lo Stato nel 2020. Un risultato trainato, come detto, dalla città di Houston con il suo 63%. La media di permanenza dei senzatetto nelle nuove case ottenute “per rilanciarsi” è stata di oltre due anni. Dopo questo periodo, la quasi totalità è stata in grado di trovare e mantenere da sola un’altra abitazione, un’altra professione. Un’altra vita.
Sylvester Turner, sindaco della città dal 2016, ha l’ambizioso obiettivo di arrivare a zero senzatetto entro la fine del 2023. Cosa mancano? Altre case, e soprattutto sinergie.
La roadmap Housing First
Parte della strategia del team di Turner consiste nel mettere insieme i servizi per i senzatetto e i fornitori di alloggi a basso reddito per farli agire insieme. E non è un’impresa da poco: si sono già consorziate oltre 100 diverse organizzazioni, grandi e piccole, private e pubbliche. Ci sono proprietari terrieri, associazioni di proprietari di case, banche alimentari, chiese, dipartimenti per la salute, tutti uniti in una “Coalizione per i senzatetto”.
Solo così è possibile realizzare scientificamente autentiche imprese umane. Passare da una tenda sotto al cavalcavia ad un appartamento con tutto ciò che serve per vivere non è un caso limite: è semplicemente il protocollo. E può esserlo anche in Italia, dove il network Housing First si sta strutturando e merita sostegno.
Attendiamo che una riforma del welfare (il semplice riconoscimento di questo modello nelle linee guida ministeriali non basta) recepisca questa strategia al più presto: concentrare gli sforzi per fornire un nuovo inizio ai senzatetto PAGA. Housing First non deve più dimostrare niente.
Noi, piuttosto, dobbiamo dimostrare che abbiamo a cuore il problema.