Al termine di una vera e propria battaglia, Luiz Inácio Lula da Silva (meglio noto come Lula) ha spodestato il presidente uscente Jair Bolsonaro. È stata una delle più significative elezioni della storia dell’America Latina, e avrà strascichi a lungo.
Per la maggior parte dei brasiliani (poco più del 50%, per la verità) la sconfitta di Bolsonaro deriva dal ripudio delle sue politiche nei confronti delle popolazioni indigene e dell’ambiente. Spesso definito il “Trump dei tropici” per le “assonanze” con il tycoon americano, Bolsonaro ha indebolito le tutele ambientali contro l’inquinamento e la speculazione, finendo per favorire il disboscamento e lo sfruttamento della foresta amazzonica.
Sebbene Bolsonaro non abbia ancora ammesso la sconfitta (si temono sue accuse di brogli) molti degli oppositori di Lula sembrano accettare i risultati. Secondo gli ambientalisti, ad ogni modo, la vittoria di Lula rappresenta un’opportunità per ridurre la deforestazione in Amazzonia, che è aumentata rapidamente durante la presidenza di Bolsonaro, e per migliorare la reputazione del Brasile riguardo al cambiamento climatico. Tuttavia, non sarà un processo semplice.
Le sfide che Lula dovrà affrontare
Di fatto, a Bolsonaro restano solo due mesi di mandato “per gli affari correnti” (diremmo in Italia), ma sta cercando di far passare almeno sette proposte di legge. Provvedimenti che, ad esempio, consentirebbero alle persone di tenersi la terra che hanno preso illegalmente e renderebbero più difficile la regolamentazione dei pesticidi. I sostenitori di Lula dicono che sta solo cercando di distruggere il più possibile le cose prima di andarsene.
Secondo Suely Araújo, che ha diretto l’agenzia ambientale brasiliana Ibama dal 2016 al 2018, “in questo momento è in corso un pericoloso abuso della legge da parte del Congresso”.
Ci battiamo da quattro anni contro il governo Bolsonaro e siamo all’atto finale, ma dobbiamo essere vigili. Possono ancora violare diritti dei popoli indigeni e danneggiare l’ambiente.
Lula entra in carica anche in un momento in cui agrobusiness, minatori e criminalità organizzata in Amazzonia sono stati rinvigoriti: in molte regioni amazzoniche le elezioni locali hanno eletto leader pro-agrobusiness, e Bolsonaro ha ottenuto la maggioranza in più di metà degli stati amazzonici. Per questo l’incarico di Lula somiglia più ad una palude da attraversare che ad un campo da arare.
A partire dal primo, complicato compito: aggiornare gli obiettivi climatici del Brasile per riportarli in linea con gli accordi di Parigi.
A Parigi vedremo due “Brasili”
Nel suo primo discorso da presidente eletto, domenica sera, Lula ha ribadito il suo forte sostegno alla deforestazione zero in Amazzonia. “Il Brasile è pronto a riprendere il suo ruolo guida nella lotta contro la crisi climatica”, ha detto a una folla di sostenitori a San Paolo, “e proteggerà tutti i nostri biomi, specialmente la foresta amazzonica“.
L’adempimento di tale impegno comporterebbe probabilmente il ripristino della cooperazione con Norvegia e Germania sul Fondo Amazon: oltre 3 miliardi di dollari per la protezione della foresta congelati da Bolsonaro nel 2019. Implicherebbe anche il ripristino del Piano d’azione per la prevenzione e il controllo della deforestazione, che include non solo il monitoraggio e l’applicazione della legge, ma anche incentivi economici per fornire alternative alla deforestazione.
Il problema è che al vertice delle Nazioni Unite sul clima, COP27, ci andrà il governo Bolsonaro in transizione. Ed è probabile che enfatizzi il settore energetico a basse emissioni di carbonio del paese, che si basa principalmente sull’energia idroelettrica. Deviando da qualsiasi domanda sulla deforestazione dell’Amazzonia (che rende il Brasile uno dei primi sei emettitori di carbonio globali). Lula ha detto che invierà una sua delegazione non ufficiale, e questo la dice tutta sullo stato di confusione attuale.
Un record all’attivo
Nel suo precedente mandato, dal 2003 al 2010, Lula vanta il record della maggior diminuzione di deforestazione. A 12 anni di distanza, leader indigeni e gruppi ambientalisti chiedono una serie di azioni, dalla rimozione degli invasori dalle terre indigene Yanomami al ritiro del PL 191, un disegno di legge che consente l’estrazione mineraria in Territori indigeni.
Il governo Bolsonaro ha implementato una sorta di manuale per smantellare la politica ambientale. Il primo compito sarà ricostruire, poi avanzare.
Suely Araújo
Come detto: sarà molto difficile. Lula dovrà fare i conti con un’estrema divisione politica. E con un congresso nazionale brasiliano a forte componente conservatrice (che ha legami con i produttori e l’agrobusiness). Nel suo discorso della vittoria, Lula ha parlato di come migliorare il problema della disuguaglianza e di come unire il Brasile in un periodo di disordini politici. Ha detto: “Non è nell’interesse di nessuno vivere in due Paesi separati. Non possiamo continuare così… con un enorme muro che ci divide in parti così diseguali”.
Ha colto perfettamente il momento: speriamo che questo ideale muro vada giù, perchè l’alternativa è una guerra civile.