La sopravvivenza della nostra specie è messa in pericolo da un conflitto di interessi. Quale? Semplice: produzione alimentare, biodiversità e cattura della CO2 (tre fattori che concorrono alla nostra vita sul pianeta) sono praticamente in lotta tra loro. O meglio: competono per accaparrarsi gli stessi spazi.
Via via che gli esseri umani richiedono sempre più cibo, abbattono foreste e altri ecosistemi naturali e rendono gli allevamenti sempre meno vivibili per animali e piante. Per risolvere il problema e sopravvivere: anzi, prosperare, dovremmo affrontare il problema all’origine. Stravolgere la nostra produzione alimentare. Per fortuna ci sono tecnologie emergenti che potrebbero cambiare radicalmente il modo in cui produciamo il cibo. Secondo una recente ricerca, questi cambiamenti potrebbero soddisfare l’aumento della domanda alimentare di una popolazione umana in crescita utilizzando meno del 20% dei terreni agricoli esistenti nel mondo.
In altre parole, queste tecnologie potrebbero liberare almeno l’80% dei terreni agricoli esistenti dall’agricoltura, aprendo la strada a un pianeta trasformato. I nostri posteri tra appena 100 anni potrebbero trovarsi in una situazione che farebbe sembrare anni medioevali quelli che stiamo vivendo ora.
Perchè consumiamo così tanti terreni agricoli per produrre cibo?
L’umanità sta usando la maggior parte delle sue terre per nutrire gli animali che poi diventeranno carne e prodotti lattiero-caseari. Considerate una superficie grande come l’India, il Sud Africa, la Francia e la Spagna messi insieme e avrete un’idea (per difetto) di quanti terreni agricoli servano solo per nutrire il bestiame. Nonostante il numero di vegetariani e vegani stia aumentando in alcune parti del mondo, il consumo globale di carne è cresciuto del 50% negli ultimi 20 anni e si prevede che raddoppierà entro fine secolo. Per soddisfare questa richiesta crescente di carne, sarà necessario convertire ancora più terra in terreni agricoli o fattorie, o stipare più animali in spazi più piccoli: nessuna delle due cose è buona.
L’industria alimentare spesso nasconde dietro le sue quinte pratiche crudeli e sfruttative. Prendiamo ad esempio gli allevamenti intensivi di polli, o il trattamento dei maiali. Le tecnologie utilizzate sono spesso rudi, inquinanti e dannose per l’ambiente e il clima: non pensate a galline felici che becchettano in un prato verde. È tutto sbagliato, è tutto da rifare.
Come possiamo correggere il tiro?
L’agricoltura cellulare è un processo che permette di coltivare prodotti animali a partire da cellule animali, eliminando così la necessità di allevamenti intensivi e consumo di terra. Immaginate una fabbrica che oggi produce grandi quantità di birra o formaggio: una struttura sterile con vasche di metallo che usa diverse tecnologie per mescolare, fermentare, pulire e monitorare. Se a orzo o latte sostituite cellule animali, questa fabbrica diventa una fonte efficiente e sostenibile di latticini o prodotti a base di carne. Stessa quantità di prodotti, molto meno spazio e terreni agricoli coinvolti.
Altra tecnologia emergente: la produzione di proteine microbiche. Sfrutta l’energia solare per trasformare l’anidride carbonica e l’azoto in carboidrati e proteine. I batteri utilizzati in questo processo possono generare quantità di proteine paragonabili a quelle ottenute dai semi di soia, ma usando solo il 7% dello spazio attuale. Le proteine ottenute possono essere poi usate come additivi alimentari o come mangimi per animali, compresi quelli domestici.
Ancora: possiamo coniugare la desalinizzazione dell’acqua e l’estrazione di CO₂ dall’atmosfera con la generazione di zuccheri e carboidrati senza il bisogno di piante o animali viventi. Gli zuccheri ottenuti sono chimicamente simili a quelli prodotti dalle piante, ma vengono prodotti con una minima quantità di spazio rispetto alle colture convenzionali.
E coi terreni agricoli “risparmiati” cosa faremo?
L’adozione di queste nuove tecnologie potrebbe avere un impatto gigantesco sulla nostra attuale dipendenza dai terreni agricoli. Un impatto tale da cambiare completamente faccia al pianeta. La ricerca del prof.Chris D.Thomas, Biologo dell’Università di York, UK (ve la linko qui), stima almeno l’80% dei terreni agricoli risparmiato, anche a fronte di consumi globali di carne raddoppiati. Questo spazio potrebbe essere trasformato in riserve naturali, o usato per catturare CO₂: ne faremmo foreste, o torbiere. O lo useremmo per coltivare materiali da costruzione più sostenibili e salutari per l’uomo: come la canapa.
L’adozione di queste tecnologie metterebbe fine ai sistemi di allevamento industriale: fine di un oceano di letame, ossa, sangue, budella, antibiotici e ormoni della crescita. Qualsiasi allevamento rimasto potrebbe, dovrebbe, sarebbe più sostenibile: perfino amorevole.
Gli ostacoli da affrontare
La transizione verso tecnologie più sostenibili e rispettose dell’ambiente sarà complicata, occorrerà aumentare moltissimo la quota di energia rinnovabile. È probabile che questa fase dell’operazione occuperà gran parte dei prossimi 30 anni. Non sarà facile, ma non ci sono alternative. Il fallimento di questa strategia ci scaglierà a velocità folle verso il peggioramento di tutti i meccanismi attuali. Ancora meno terra, ancora più terreni agricoli. Questo vuol dire ancora più allevamenti, ancora più consumo, ancora più pesticidi, ancora più inquinamento. Una catastrofe.
Per evitarla e raggiungere l’obiettivo di ridurre dell’80% i terreni agricoli, dobbiamo avere la volontà politica e l’accettazione culturale di cambiare le nostre abitudini alimentari. E serviranno il bastone (più tasse e nessuna pietà per le tecnologie dannose) e la carota (più investimenti, sussidi e sgravi fiscali per tecnologie sostenibili).
La cattiva notizia è che dobbiamo farlo, e dobbiamo farlo ora. La buona notizia è che possiamo farlo.