Gli astronomi hanno trovato più di 6.000 pianeti in orbita attorno ad altre stelle negli ultimi anni, ma pochi di questi sono considerati potenzialmente abitabili. Ora che i nuovi telescopi a terra e nello spazio sono in grado di individuarli, gli scienziati scrutano le loro atmosfere cercando segni di vita: la tecnologia attuale, però, non permette di osservare oggetti attorno a stelle simili al Sole.
Per questo il prossimo grande obiettivo scientifico è inviare un veicolo spaziale con un “geologo robot” in una missione epica per esplorare la superficie di un esopianeta. Non è un film, signori: benvenuti nel progetto RIGEL.
Mille anni in viaggio
Anche se scegliessimo la stella più vicina al Sole, Tau Ceti, un veicolo spaziale con la tecnologia attuale impiegherebbe circa 1000 anni per raggiungerla. Questo non sembra un ostacolo per il progetto RIGEL (Robotic Interstellar GEological Probe). Philip Horzempa, scienziato planetario, ha da poco pubblicato un white paper, ve lo linko qui, che descrive nei dettagli questa ambiziosa missione a lungo termine.
Progettato per atterrare su un pianeta extrasolare e esplorarne la superficie, il progetto RIGEL non sarà facile, ma il documento sottolinea che l’enorme sfida ingegneristica che presenta è una delle ragioni per cui la missione dovrebbe essere avviata il più presto possibile. “Per la prima volta nella storia, un esploratore della Terra sarà in grado di camminare sulla superficie di un pianeta alieno”, si legge nel paper, anche se si tratterà di una macchina, un “avatar geologo” a rappresentare l’umanità. Ho davvero detto “Avatar”? Beh, beh. Ma ditemi che non vi ricorda per niente la trama, su.
Date una navicella a quel robot geologo!
Il piano è quello di visitare un pianeta del sistema Tau Ceti, distante circa 10 anni luce. Si ritiene che sia il sistema più vicino che comprenda un pianeta roccioso temperato simile alla Terra o a Marte, anche se sono necessarie ulteriori ricerche per confermarlo. La sfida ingegneristica consiste nell’aumentare la velocità del veicolo spaziale oltre ciò che è attualmente possibile. Servirebbe arrivare a 2.000 miglia/3.200 km al secondo, poco più dell’1% della velocità della luce.
Parecchio complicato se considerate che la navicella spaziale New Horizons a propulsione nucleare, la più veloce mai lanciata dalla Terra, ha raggiunto una velocità di 10 miglia/16 km al secondo. Nel 2015 è volata vicino a Plutone e ora si trova nella lontana fascia di Kuiper.
“Raggiungere la giusta velocità richiederà uno sforzo ingegneristico mirato”, ammette Horzempa. “Dovrebbe certamente essere una navicella superleggera, e probabilmente usare le onde d’urto dell’esplosione termonucleare per raggiungere le incredibili velocità necessarie”. E rallentare, aggiungo, quando si tratta di arrivare.
Non è l’unica sfida da affrontare
Anche mantenere il contatto con il veicolo spaziale per molti secoli dopo che ha lasciato il sistema solare rappresenterà una sfida enorme. Ci vogliono sette minuti per inviare un segnale a Marte. Tau Ceti è un milione di volte più lontano. Horzempa suggerisce di considerare le comunicazioni laser ad alta larghezza di banda, che presto saranno testate nella missione Psyche della NASA, prevista per il 2026. Tuttavia, poiché per conservare intatti i sistemi il veicolo spaziale dovrebbe “entrare in letargo” per gran parte del viaggio, converrebbe comunicare con la Terra solo ogni 20 anni.
E qui veniamo alle altre sfide: anzitutto quella di “ibernare” per molti anni, come detto, la casa del geologo robot. O costruire sistemi di alimentazione in grado di funzionare per 1.000 anni, o scudi in grado di resistere agli impatti che ci sarebbero nella fase di passaggio tra il e il sistema che ospita la stella Tau Ceti.
Possiamo farcela con le conoscenze attuali?
Le missioni della NASA in corso potrebbero contribuire al progetto RIGEL, secondo il paper, per una sorta di “prove generali”. Il Mars Exploration Program potrebbe sviluppare nuovi rover anche in prospettiva di un viaggio millenario. E una missione preparatoria potrebbe testare il robot geologo su Marte: per la NASA si tratterebbe “solo” di creare qualcosa che entri in orbita marziana, identifichi un sito di atterraggio, arrivi ed esplori la superficie completamente in autonomia per almeno un paio d’anni.
Tutto questo, dice Horzempa, con un piano iniziale da sviluppare entro il 2029.
Robot geologo su un pianeta aliena: un nuovo, gigantesco programma Apollo.
Ammetto di aver aggrottato più volte le ciglia leggendo il piano di Horzempa: una epica corsa allo spazio, ma su base plurisecolare. Però è l’unico modo per esplorare esopianeti. Non esiste una soluzione “magica” a questo problema: un viaggio interstellare richiede questo tempo.
Non basta una sola generazione, ne servono molte. Per questo, che sia RIGEL o un altro progetto, se vogliamo lasciare un’eredità spaziale alle generazioni future dobbiamo fare anche questo.
Non vedo l’ora di vederti partire, geologo dei miei stivali.