Amici, è il pubblicitario che vi parla, non il giornalista divulgatore: la tendenza crescente delle pubblicità ad infiltrarsi in luoghi che in passato erano liberi dalla loro fastidiosa presenza è diventata preoccupante. Una volta gli annunci pubblicitari erano “limitati” a manifesti, giornali, tv e radio commerciali. Con il cambiamento delle abitudini di consumo mediatico, quel mercato sta andando incontro a un declino (più lento per le radio generaliste, ma parimenti inevitabile) verso l’obsolescenza.
Il 2021 ha rappresentato il sorpasso della tv via internet su quella in broadcast. Un simbolo che ratifica solo una tendenza: ormai gran parte dei contenuti audio e video che consumiamo oggi sono offerti dai siti web o dai servizi di streaming, che rappresentano una via di mezzo tra il possesso di contenuti fisici e la sopportazione passiva di infinite pubblicità. Ma non basterà.
La “seconda guerra mondiale contro la pubblicità” è all’orizzonte
Oggi, come detto, si può passare da un servizio di streaming all’altro, godendo di una vasta scelta di contenuti e, pagando una piccola somma in più, evitando fastidiose pubblicità. Tuttavia, questa abbondanza di offerte sta portando a una frammentazione del mercato, simile a quella avvenuta nell’industria musicale anni fa (e per fortuna terminata, in quel caso). Solo in Italia abbiamo Discovery, Netflix, Disney+, Apple+, Paramount, Prime Video, TimVision, NowTV, Infinity e ne dimentico di certo qualcuno.
Il risultato? Con il proliferare dei servizi diventa sempre più difficile per l’utente decidere quale scegliere. Non solo: gli utenti non arriveranno a pagare 30 canoni, non importa quanto piccoli, per tenere in piedi 30 servizi di streaming diversi. Molti servizi stanno già subendo perdite di entrate. E questo produce una spirale al ribasso, perchè mancano le risorse per creare nuovi contenuti. Per far fronte a questa situazione, alcuni stanno già cercando di offrire servizi gratuiti o a basso prezzo, ma con una piccola accortezza: torna la pubblicità “onnipresente”.
Una fase che sa di déja-vu, e che per questo scatenerà una nuova guerra, la seconda di questo tipo.
Ricordate la prima? Si è conclusa. E con un vincitore.
La “prima guerra mondiale contro la pubblicità” si è combattuta in rete, ed ha visto la “vittoria” degli utenti contro gli annunci invadenti sui siti web. Grazie agli Ad Blocker, spesso open source e gratuiti, chi non vuole noie può navigare in Internet senza essere costantemente interrotto. Ora i siti che si basano esclusivamente sulla pubblicità stanno vedendo una diminuzione dei loro guadagni e cercano altri modi per monetizzare i loro contenuti. Alcuni, virtuosamente, stanno offrendo abbonamenti per contenuti di alta qualità. Altri cercano donazioni tramite micro transazioni. I peggiori scrivono semplicemente notizie peggiori, o ingannevoli, o sensazionalistiche per continuare a restare a galla, magari aiutate dall’intelligenza artificiale generativa.
Dipende dal pubblico, alla fine. Dalla sua disponibilità. In sintesi, gli Ad Blocker sono diventati uno strumento essenziale per navigare in Internet senza essere interrotti da annunci pubblicitari invasivi. E hanno già cambiato, anche se non del tutto, il modello di business.
Guerra mondiale alla pubblicità: ora che succede?
Anche se messa alle corde sul web, lungi dall’essere totalmente sconfitta (cioè regolata, moderata), la pubblicità tende a farsi strada in formati ancora più odiosi e ripugnanti. Invade gli spazi pubblici, privandoci della nostra tranquillità e, dove presente, della bellezza architettonica delle nostre città. In giro si vedono mezzi pubblici tappezzati di immagini perfino sui finestrini, ostruendo la luce naturale e la vista senza rispetto per i passeggeri paganti. Le vediamo sempre più numerose sulle pensiline dei bus, ai bordi di un terreno di gioco (una sull’altra, come a formare un muro). Sugli edifici, ovunque.
Su ogni oggetto qualcuno vede un’opportunità di guadagno. Anche le buste della spesa, le confezioni, il cibo sono marchiati e usati come pubblicità ambulante. E ci sta circondando, vuole arrivare a noi in qualche modo. Se salta il limite “ideologico” alla presenza della pubblicità, la società è destinata all’invasione.
A quando vedremo frutta “marchiata” direttamente sulla buccia con un logo? E l’acquisto di scarpe a prezzo più basso, purchè abbiano un marchio più grande? E gli abiti?
Una società “brandizzata” e diseguale
Una serie tv piuttosto estrema e distopica, Altered Carbon, sembra perfetta per tracciare la parabola di un mondo che “si vende” al miglior offerente. Un giorno potremmo distinguere il ceto sociale da quanto riesce a vivere senza abdicare alle pubblicità. Vedremo gente vestita con abiti “in abbonamento”, e gente trasformata in cartellone ambulante perchè non può permettersi cose senza annunci pubblicitari? La prospettiva, oggi provocatoria, potrebbe non essere lontana dalla realtà futura.
Stiamo entrando in un’era in cui l’accesso a ciò che è stato pubblico, gratuito e aperto potrà diventare sempre più limitato e commercializzato. Dovremo fronteggiare anche una “nuova ondata” online, dai servizi di streaming alle barre di ricerca, e proseguirà ancora più invasiva tra realtà virtuale e realtà aumentata. Non sto scherzando, fidatevi di un pubblicitario: un giorno potremmo dover pagare per avere una visuale pulita dalla finestra, una semplice spesa o anche solo uno schermo del monitor privo di immondizia obbligatoria.
Siamo in una lotta costante con i monetizzatori e dobbiamo usare la tecnologia per contrastarli, o pagare per liberarcene. Se siete arrivati in fondo a questo articolo, forse fate parte della Resistenza.