Non ci sorprende, ormai, che la Cina e gli Stati Uniti non si accordino su diversi aspetti e abbiano dato il via a una nuova guerra fredda: ma pensare che ne stiano per scatenare una “calda” fa sussultare. Specie se si pensa alle conseguenze. Per questo gli analisti di tutto il pianeta stanno provando a capire cosa accadrà: se ci avviciniamo a un conflitto, e con quali esiti.
Una lunga storia di (dis)amore
La complessa relazione tra le due superpotenze viene da lontano. Prendete il maggior “nodo” di oggi: Taiwan. Ai tempi del leader comunista cinese Mao Zedong, 1927, quando il governo nazionalista di Chiang Kai-shek fuggì dalla Cina continentale e stabilì le sue truppe a Taiwan.
Bene: già allora, gli USA sostennero la repubblica esiliata di Chiang a Taiwan, peggiorando le loro relazioni con la Cina.
Neanche il tempo di pensarci su, ed ecco la guerra di Corea, 1950. ONU e Cina si schierarono rispettivamente con il Sud invaso e con il nord invasore. Quattro milioni di morti dopo, un accordo tra le due parti pose fine a quella fase di guerra, e rafforzò l’ostilità.
Il conflitto sino-sovietico? I fatti di Piazza Tien an Men? La crisi del 1996, culminata addirittura con minacce nucleari? Praticamente un intero secolo di sguardi in cagnesco: e mai come oggi, la sensazione che potrebbe mettersi male.
Oggi Taiwan, Ucraina e Mar Cinese Meridionale
Come detto, i motivi di conflitto si sono sommati negli anni, mai sottratti. La globalizzazione ha trasferito solo la rivalità dal piano militare a quello economico. Momentaneamente. Oggi, peraltro, la globalizzazione non se la passa molto bene.
Ad ogni modo, alle storiche tensioni su Taiwan si aggiungono quelle sul conflitto ucraino (con i sospetti USA su un ruolo cinese nella fornitura di armi alla Russia). E più di tutto, al momento, la disputa sul Mar Cinese Meridionale: per farla breve, la Cina lo ritiene suo, per gli USA sono acque internazionali. Può essere il nuovo passaggio, lo “spillover” che riporta il conflitto nuovamente sul piano militare.
Il conflitto sui dazi
Nel 2018, l’amministrazione Trump ha imposto severe tasse USA sulle importazioni ed esportazioni in Cina. Il presidente accusava la Cina di praticare un modello di scambio economico troppo aggressivo, causa di deficit commerciali nel paese a stelle e strisce.
Nasceva, 5 anni fa, il primo” conflitto economico” del nuovo millennio tra le due superpotenze. Da allora, sempre più scintille: alla Cina è stato impedito di accedere ai prodotti ad alta tecnologia degli USA. Abbiamo assistito a riduzioni reciproche degli investimenti, arresti di capi d’azienda, minacce di divieti a piattaforme come Tiktok.
Colpa di Trump? Nossignore. Il nuovo inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, ha seguito esattamente la stessa condotta, nonostante crei problemi anche alle aziende del suo paese.
Sorvolo del tutto sul Covid, che meriterebbe un articolo a parte, e un giorno sui libri di storia potrebbe essere considerato a pieno diritto come una tappa forse cruciale sul cammino di un conflitto.
Poche settimane fa, il redde rationem è proseguito con accuse di spionaggio attraverso “palloni spia” (poi rivelatesi del tutto infondate).
Quale sarà il prossimo passo?
Lo scacchiere: ordine mondiale contro multipolarità
Come si collocano USA e Cina nel contesto attuale? Quali sono le loro mosse “di studio”, come sono percepite dalle altre nazioni, possibili parti in causa di un futuro conflitto?
Per 21 paesi su 34 interpellati da un sondaggio, gli USA detengono il predominio economico: per altri 13 paesi, lo scettro appartiene alla Cina.
Sul piano del PIL, quello degli USA rappresenta il 24% di quello globale; quello cinese il 15%. In termini di comunicazione, computer, intelligence e sorveglianza, i due paesi oggi si equivalgono. La sensazione, però, è che ad Oriente da tempo abbiano messo la freccia per passare avanti.
Il sorpasso
Ciò che fa davvero la differenza, al momento, è la diversa strategia tra i due paesi. Una strategia che, in assenza di un conflitto su scala globale, favorisce un evidente differenza di passo della Cina, che supererebbe gli USA senza dubbio.
Mentre gli USA, infatti, hanno “gestito” un primo quarto di secolo attraverso una guerra “infinita” al terrore (non sempre vittoriosa, vedi Afghanistan), la Cina ha spinto moltissimo sul piano interno. Con una strategia a medio termine in tre fasi, e un obiettivo: superare gli USA come potenza economica leader.
Nella prima fase, la Cina mira a rendersi indipendente dagli investimenti e dalla tecnologia degli USA. Crescita interna e “virtuale” autosufficienza, per catalizzare intorno a sé e attirare nella propria sfera sempre più paesi.
Da più parti dubitano, comunque, che gli USA attendano tranquilli che il tempo e l’inerzia consentano alla Cina di detronizzarli: per questo l’accento rischia di portarsi sempre di più sulla possibilità di un conflitto che, al momento, vedrebbe in vantaggio gli USA e la componente Occidentale a suo supporto. Ma è proprio così che andrebbe?
Le cifre di un conflitto: gli USA
Tra le due (lo vediamo anche nell’impegno NATO in Ucraina) chi ha più interesse a mostrare i muscoli sono gli Stati Uniti. È il loro punto forte, e lo hanno sempre sfruttato.
A dispetto dell’opinione pubblica interna, l’esercito americano è sempre preparato a una guerra. Combatte praticamente da sempre, e nessun paese al mondo investe negli armamenti cifre così esorbitanti.
Le tecniche moderne, le navi da guerra avanzate, i sottomarini: gli USA vantano capacità molto migliori sia in attacco e difesa. Anche in termini di “alleanze e sudditanze”, gli Stati Uniti hanno stretto molti legami con i paesi dell’area asiatica (compresi Giappone, Australia, Corea del Sud e molti altri), avviando nei decenni una manovra di lento “accerchiamento” che ne ricorda altre.
Anche qui, però, c’è da stare attenti all’inerzia.
Le cifre di un conflitto: la Cina
Anche la Cina sta espandendo la sua influenza oltre i confini. Lo ha fatto con l’ambizioso piano Belt and Road di una nuova “via della Seta”, lo sta facendo oggi nell’alveo dei cosiddetti BRICS e con altri accordi (Iran, Pakistan, altri paesi asiatici e africani).
A guardare tutto da una giusta distanza, sembra proprio che le due superpotenze stiano lavorando per acquisire consensi e attenzione.
Militarmente parlando, la Cina non ha abbandonato la produzione e lo sviluppo di armi. La strategia economica ha conservato comunque una robusta “costola” militare, che tiene le porte sempre aperte alla possibilità di un conflitto, che tuttavia la Cina oggi affronterebbe con estrema riluttanza.
E domani? L’incremento di armi (nucleari e non), di nuove navi “porta droni” e di tecnologie di sorveglianza, anche dallo spazio, mostra che Pechino sa di dover tenere alta l’attenzione.
In conclusione
La Cina non sembra pronta ad un conflitto con gli USA o sul piano globale, e probabilmente soccomberebbe. Per questo ha bisogno di acquisire più forza, contando sui vantaggi geologici (materie prime, capacità demografica e produttiva).
Magari arriveremo ad un mondo multipolare in modo pacifico, gli USA accetteranno di ridimensionare il loro ruolo diventato ipertrofico dopo la caduta dell’URSS, ma non è facile prevederlo.
Se così non fosse, gli USA sanno che il tempo è dalla parte della Cina: per questo potrebbero avere fretta di alzare il volume dello scontro, e di chiudere in un angolo il Celeste Impero finché possono.
Staremo a vedere, anzi: speriamo di non vedere.