Un giorno potrebbero stamparci organi di ricambio proprio come oggi fanno con i documenti. Se volete sapere come, all’incrocio tra biologia e ingegneria trovate quello che cercate: si chiama bioprinting 3D.
Il bioprinting 3D in due parole
Il bioprinting, lo dice la parola stessa, è un processo che usa la tecnologia di stampa 3D per creare strutture biologiche complesse, come tessuti e organi. Averlo a disposizione equivarrebbe a dare al nostro corpo un “centro ricambi” pronto a entrare in azione quando abbiamo bisogno di sostituire un organo a causa di traumi, malattie e un giorno anche invecchiamento.
Facili entusiasmi, difficili attese
C’è da dirlo, con onestà: ci sono ancora delle sfide da affrontare. Ad oggi, il bioprinting si avvale di vari materiali, tra cui cellule viventi, altri biomateriali e fattori di crescita. Il suo vantaggio maggiore? Quello di poter creare tessuti e organi specifici per il paziente grazie all’uso di speciali intelaiature, vere e proprie “matrici” fatte di idrogel, riducendo così il rischio di rigetto da parte del suo sistema immunitario.
Tuttavia, ci sono ancora delle questioni da risolvere, principalmente legate alla struttura e alla risoluzione del processo di stampa. Ad esempio, la matrice extracellulare (ECM), che svolge un ruolo cruciale nello sviluppo dei tessuti, o la risoluzione di stampa attuale limita la capacità di riprodurre le caratteristiche più piccole dell’ambiente nativo.
Bioprinting 3D: a che punto siamo?
Le tecniche più avanzate, come la litografia multifotonica (MPL), stanno iniziando a raggiungere una risoluzione molto più alta, fino a circa 1 μm. Questa tecnologia utilizza laser per creare strutture specifiche all’interno di un substrato, che può essere ovviamente di natura biologica.
Modelli di tessuti e organi più accurati per i test dei farmaci, tessuti e organi specifici per il paziente e impianti personalizzati: solo alcune delle possibilità che questa tecnologia potrebbe offrire.
Ovviamente, c’è ancora molto lavoro da fare.
Oltre alle sfide strutturali e di risoluzione (ben articolate in un recente studio che vi linko qui), è necessario affrontare altre questioni come la gestione delle combinazioni di diversi tipi di cellule, la determinazione della risoluzione effettivamente necessaria e problemi logistici come la conservazione, il costo e il controllo qualità.
Nonostante ciò, l’idea di poter stampare parti di ricambio per i nostri corpi è affascinante, non trovate? La strada per un uso diffuso del bioprinting 3D potrebbe essere ancora lunga, ma i progressi nella ricerca e nello sviluppo di questa tecnologia promettono di rivoluzionare il campo della medicina e migliorare la vita di milioni di persone in tutto il mondo.