Con la popolazione mondiale che si concentra sempre di più nelle metropoli, serve riprogettarle: l’attuale espansione urbana non potrà gestire l’arrivo di altre 2,5 miliardi di anime previsto entro il 2050. Per necessità, non scelta, siamo costretti a rivoluzionare l’assetto delle nostre città: ma a volte dalla necessità arrivano buone idee, come potrebbe essere la “città di 15 minuti”.
Come è nata l’idea
L’idea della “città di 15 minuti” sta prendendo sempre più piede. Il principio è semplice ma potente: creare città in cui tutti i servizi quotidiani, dal negozio di alimentari alle scuole, dai parchi ai mezzi di trasporto, siano raggiungibili in 15 minuti a piedi, in bicicletta o con i trasporti pubblici.
Carlos Moreno, direttore scientifico dell’Università Panthéon Sorbonne di Parigi, ha proposto per primo questo concetto nel 2016, aggiungendo elementi fino al concetto di “cronourbanismo” nel 2019. Due sono i principali obiettivi di questa rivoluzione urbana:
Il primo è migliorare la qualità della vita delle persone, aumentando il tempo passato all’aria aperta e rafforzando il senso di comunità.
Il secondo, strettamente collegato al primo, è ridurre l’uso di veicoli a motore, limitando così l’inquinamento atmosferico e i rischi legati alla circolazione stradale.
Sembra facile detto così, ma attuare questo cambiamento non lo sarà affatto. Serviranno impegno, risorse e tempo, e non esiste un approccio universale adatto a tutte le città: per questo vanno definiti i “servizi chiave” di ciascuna, e come dislocarli.
Città in 15 minuti, esempi concreti
I cantieri aperti che stanno già sperimentando questo nuovo approccio di città in 15 minuti sono diversi. Facciamo un punto veloce.
Utrecht, Paesi Bassi
È diventata un caso di studio per una ricerca pubblicata nel dicembre 2022. I dati raccolti tra il 2019 e il 2021 hanno rivelato che il 100% della popolazione di Utrecht può soddisfare 9 bisogni fondamentali (tra cui cibo, istruzione, aree verdi, intrattenimento e assistenza sanitaria) con un tragitto in bici di 10-15 minuti.
Non è tutto: lo studio ha anche mostrato che non ci sono differenze di accessibilità in bici ai servizi della città di 15 minuti tra i vari gruppi di reddito: la soluzione riduce anche le disuguaglianze nei trasporti.
Barcellona, Spagna
È una delle metropoli più dinamiche d’Europa, ed è all’avanguardia anche nella sperimentazione di nuove strategie di progettazione urbana. Abbiamo parlato in dettaglio (anche a proposito di Madrid) del modello dei Superblocchi o “Superilles”, in catalano.
Il concetto dei Superblocchi è rivoluzionario: si tratta di unire diversi isolati in un unico grande blocco, una sorta di “quartiere condominiale” vissuto principalmente dai suoi residenti, con molte aree pedonali, parchi, giardini, spazi di incontro e persino orti urbani. Se funzionerà, sarà un modello replicabile.
Parigi, Francia
Anche la Capitale Francese sta “ruotando” intorno all’idea della città di 15 minuti. Il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, è stata rieletta (anche) riproponendo l’idea, e ha iniziato ad attuarla durante la pandemia.
L’interpretazione “Ville Lumière Edition” dell’approccio è di mettere le scuole al centro di ogni quartiere e di riprogettare i cortili delle scuole in parchi, rendendo lo spazio più accessibile alla comunità al di fuori dell’orario scolastico. Del Plan Velo vi abbiamo già parlato: 140.000 posti auto che diventano aree verdi per la comunità e una città completamente ciclabile entro il 2026. Se poi riuscissero, come vorrebbero, a bonificare anche la Senna per renderla balneabile…
Portland (e altre città USA di 15 minuti)
Le esperienze come quelle di Portland mostrano chiaramente che il concetto di città di 15 minuti non è un’idea astratta, ma una strategia urbana reale che può essere implementata con successo.
A dirla tutta, nel caso USA vanno aggiunti giusto 5 minuti. Nata già nel 2010, la strategia del “quartiere da 20 minuti” fa parte del Piano d’azione per il clima della città. L’obiettivo è creare “quartieri vivaci” in cui il 90% dei residenti possa raggiungere facilmente tutti i servizi di base quotidiani (non lavorativi) camminando o andando in bici.
Viste le abitudini americane, è tanta roba. Al punto che da Seattle a Baltimora, da Detroit a New York (con qualche sbavatura e qualche chicca) molte altre “wannabe” città di 15 minuti stanno adottando il concetto lavorando per ridurre la distanza tra i residenti e i servizi di cui hanno bisogno.
Shanghai, Cina
La Cina sta diventando un fulcro importante per lo sviluppo del modello delle città di 15 minuti. Nel 2019, la metropoli di Shanghai ha dato il via a una versione pilota dell’idea. Lo ha fatto in 15 aree selezionate della città, denominate “circoli di vita comunitaria di 15 minuti”. Questi circoli sono stati progettati per includere diversi servizi e infrastrutture, tra cui negozi di alimentari, scuole, ospedali, spazi verdi e infrastrutture per i trasporti, tutti raggiungibili entro 15 minuti a piedi o in bicicletta.
Da allora, Il “modello Shanghai” ha attirato l’attenzione di altre 50 città cinesi: al momento, il più ampio “studio di fattibilità” del mondo.
Città di 15 minuti, facciamo chiarezza
Questo paragrafo è scritto apposta per chi commenterà questa notizia sui social con superficialità (e forse un po’ di aggressività). Vi devo una premessa: io non amo né i “debunker”, né i “teorici del complotto”. Amo semmai gli ANALISTI del complotto, cioè quelli che pensano sarebbe ingenuo pensare che le élite del mondo imprenditoriale e finanziario non abbiano la volontà di influire direttamente sulla politica e sulla società. È una cosa evidente, non serve ipotizzare chissà cosa. Va sempre tenuta presente tra le regole del gioco, ma non deve farci pensare che qualsiasi ricerca, scoperta, tecnologia, iniziativa abbia lo scopo di debellare il popolo.
Serve analizzare, non fantasticare.
Perché dico questo? Perché perfino progetti che nascono con potenzialità autenticamente positive come la città di 15 minuti sono oggetto dei timori complottisti. Timori la cui causa, ovviamente va ricercata nei mutamenti sociali e non in presunti “deficit cognitivi” di chi teorizza cospirazioni. Ve l’ho detto.
Cosa NON È una città di 15 minuti
Una città di 15 minuti non è un concetto distopico che limita le libertà individuali, né un piano per creare “campi di concentramento” o per mettere sotto sorveglianza i cittadini.
Una città di 15 minuti non è una trappola da cui le persone non possono uscire. Non si tratta di costringere le persone a rimanere all’interno di confini definiti, né di creare barriere artificiali che impediscono agli individui di muoversi liberamente.
Non implica (e non dovrebbe farlo) il riconoscimento facciale a ogni angolo, né l’imposizione di permessi per uscire dalla città.
Al contrario. Il concetto di città di 15 minuti è pensato per aumentare la libertà e la scelta delle persone. L’idea è di progettare città in cui i servizi essenziali siano facilmente accessibili a piedi o in bicicletta, riducendo così la necessità di lunghi spostamenti in auto. Questo non significa eliminare l’uso dell’auto, ma fornire opzioni più sostenibili e salutari per muoversi.
Dico di più: se anche ci fosse una qualche “élite” che vuole una interpretazione “restrittiva” di questa idea, non è abbaiando alla Luna che lo impediremmo. Lo impediremmo PARTECIPANDO alla costruzione e alla tutela di una visione originale ed equa dell’idea di città di 15 minuti. Anche per analizzarne i difetti. Che ci sono, nessuno li nega.
Città di 15 minuti, cosa si può migliorare?
Nonostante le grandi prospettive offerte dal modello delle città di 15 minuti, emergono anche alcune criticità. Anzitutto, il modello è davvero applicabile in società come quella americana, che progettano quasi solo periferie a misura di auto, e anche di grosse dimensioni?
Qualcuno è tentato di dire che riprogettare le città di 15 minuti significa in qualche modo riproporre i quartieri e abbattere le differenze tra centro e periferia, perché i “centri” diventano tanti, ma una soluzione drastica al problema non c’è. Potrebbero volerci secoli, perché sarebbe come rifare daccapo, e dall’interno, tutte le grandi città.
Per questo, sul piano delle soluzioni pratiche, forse è il modello Parigino o Catalano quello migliore al momento. Non punta a distruggere le differenze tra centro e periferie, ma a ristrutturare queste ultime. Magari continuando a tenere istituzioni importanti in centro (lavorando perché si possa raggiungerle entro 30 minuti, se non 15).
Quello che conta è capire che i vecchi modelli non funzionano più, e che occorre fare le cose in modo diverso.
Cambiamenti in corso
Capisco perfettamente (per tornare in breve al tema “cospirazionista”) che il cambiamento può spaventare. E dopo gli ultimi anni, chi non avrebbe paura di un cambiamento così radicale?
Ma si tratta di un approccio da costruire tutti, e sarebbe una follia continuare con città sempre più caotiche, congestionate, senza logica. Le città di 15 minuti sono una risposta, una risposta modulabile, che si adatta alle necessità di ogni popolazione.
Non è un approccio “taglia unica”, ma una soluzione su misura. Una soluzione che, nonostante le sfide presentate, è carica di creatività e ci può ridare, tra una cosa e l’altra, il controllo delle nostre vite.