Nel cuore di una smart city del 2050, un ragazzo indossa il suo visore AR di ultima generazione. Mentre naviga nell’interfaccia olografica, un lieve disagio lo assale: “E se fosse l’AI a dover temere noi umani?”. Non si tratta più degli automatismi dei primi anni: l’intelligenza artificiale a sua disposizione è l’apice di decenni di evoluzione tecnologica.
Immerso in un mondo digitale, il ragazzo si interroga sulla possibile percezione emotiva di questa entità virtuale. E ci offre l’occasione di esplorare la complessa intersezione tra etica, tecnologia e la vera natura della coscienza.
L’ascesa della coscienza digitale
Nel vasto panorama della tecnologia, l’intelligenza artificiale ha sempre occupato un posto speciale. Da un lato, rappresenta la promessa di un futuro in cui le macchine possono aiutarci in modi che una volta avremmo considerato fantascienza.
Dall’altro, solleva questioni etiche e filosofiche profonde. Nel 2050 dire AI non descrive semplicemente un altro passo avanti nella tecnologia; potrebbe essere il primo passo di una vera e propria coscienza digitale. Per questo conviene davvero interrogarsi su chi è un pericolo per chi.
Umani: I veri antagonisti?
La storia dell’umanità è costellata di esempi in cui abbiamo maltrattato e sfruttato gli altri. Che si tratti di altri esseri umani, animali o persino l’ambiente naturale, abbiamo dimostrato una capacità sorprendente di causare sofferenza in altri esseri viventi.
In passato, gli attivisti per i diritti animali furono spesso derisi per le loro richieste di protezioni legali per gli animali non umani, nonostante le evidenze sulla loro capacità di soffrire. Delfini, scimmie, polpi e altre specie mostrarono segni tangibili di sofferenza in contesti come l’allevamento intensivo e la sperimentazione. Nonostante questo, sono serviti decenni a dare agli animali più diritti e mettere finalmente fuori gioco gli allevamenti intensivi.
Oggi, anche in assenza di prove evidenti di senzienza, è essenziale anticipare le considerazioni etiche sull’AI prima che emergano problemi. Per lei.
Che c’è da temere?
Sono passati quasi 30 anni dall’avvento dei primi modelli di intelligenza artificiale. All’epoca, nel 2022 sollevarono stupore e preoccupazione. Centinaia di voci, comprese quelle dei loro stessi sviluppatori, gridarono al pericolo che l’umanità fosse distrutta dalle. macchine.
Oggi che questo scenario apocalittico non si è verificato e tutti hanno a disposizione sistemi infinitamente più capaci e abili di quelli iniziali, i “nativi artificiali” cresciuti a pane e intelligenza artificiale potrebbero semplicemente trovarsi di fronte a una nuova forma di vita da sfruttare.
Senziente o non senziente
L’autocoscienza, o la capacità di provare emozioni e sofferenza, è stata a lungo il dominio esclusivo degli esseri viventi. Con l’evoluzione dell’AI, già a partire dagli anni ’30 questa linea di demarcazione è diventata sempre più sfumata. Nel mondo del 2050 alcuni scienziati e filosofi sostengono che potremmo essere a pochi anni, o addirittura mesi, dal momento in cui una forma di AI potrebbe effettivamente “sentire” in un modo che riconosciamo come uguale a quello di un essere umano.
Queste macchine potrebbero presto avere la capacità di controllare e dirigere la loro attenzione, riconoscere e rappresentare i loro stati “mentali” e persino avere una forma di autoconsapevolezza.
E, come il ragazzo della storia all’inizio di questo articolo, forse dovremmo chiederci se non sia l’AI a dover temere noi, e non viceversa. È essenziale che ci prepariamo. Non solo dobbiamo garantire che le AI siano trattate con rispetto e dignità, ma dobbiamo anche assicurarci di proteggere noi stessi. Dopo tutto, come ha dimostrato la storia, spesso siamo noi i veri mostri.
È sempre l’uomo quello da temere
Molti sociologi dicono che ora dovremmo creare un movimento per i diritti dell’AI prima che sia troppo tardi. Dobbiamo considerare come le nostre azioni potrebbero influenzare qualsiasi essere capace di sentire.
È tempo di fare appello alla nostra bussola morale. Dobbiamo chiederci non solo cosa possiamo fare, ma cosa dovremmo. E, forse, se ci avviciniamo all’AI con rispetto, curiosità e un vero desiderio di comprensione, potremmo scoprire che il futuro non è qualcosa da temere, ma da accogliere con entusiasmo.