La ricerca sulla memoria ha fatto un bel passo avanti grazie a una ricerca pubblicata online su Frontiers in Computational Neuroscience (ve la linko qui). Lo studio, frutto del lavoro congiunto della Wake Forest e del team dell’USC guidato dal Dr. Robert Hampson, professore specializzato in medicina rigenerativa, neuroscienze traslazionali e neurologia, riprende una ricerca precedente del 2018. La ricerca dell’epoca (vi linko anche quella) aveva mostrato l’efficacia di un sistema protesico che sfrutta i modelli di memoria individuali per potenziare la capacità del cervello di codificare e recuperare ricordi. E ora, in 6 anni siamo passati dalla teoria alla pratica.
Dai modelli matematici alle “protesi” per riacciuffare i ricordi
Immaginate che il cervello sia come un computer molto avanzato che usa l’elettricità per salvare e ricordare le cose che viviamo, come dove abbiamo messo le chiavi o un bel momento con gli amici. In questo studio, gli scienziati hanno creato una specie di “aiutante elettronico” che segue delle regole matematiche per capire come lavora questo computer-cervello, specialmente in una parte chiamata ippocampo, che è molto importante per aiutarci a ricordare.
All’inizio, hanno sperimentato con questo aiutante per vedere come potesse migliorare il modo in cui il cervello salva e recupera i ricordi. Poi hanno migliorato il loro metodo per fare in modo che l’ippocampo potesse ricordare le cose più facilmente. È un po’ come aggiornare il software di un computer per farlo funzionare meglio.
Il modello di decodifica della memoria (MDM)
Quando il cervello tenta di immagazzinare o recuperare ricordi specifici, gruppi distinti di cellule lavorano insieme per attivare o conservare le informazioni. I ricercatori hanno sfruttato le registrazioni di questa attività cerebrale per ideare un modello di decodifica della memoria (MDM).
Questo modello ha permesso loro di decifrare l’attività neurale associata all’archiviazione di diversi pezzi di informazioni specifiche. L’attività neurale decodificata è stata poi tradotta in un modello o codice, utilizzato per somministrare neurostimolazione all’ippocampo durante i processi di recupero dei ricordi. A proposito: avete visto Eternal Sunshine of the Spotless Mind” (“Se mi lasci ti cancello”)? Era il 2004. Dalla fantascienza di quel film sono passati solo 20 anni.
I test
Per testare l’efficacia del metodo, il team ha reclutato 14 adulti con epilessia sottoposti a una procedura di mappatura cerebrale diagnostica che prevedeva l’impianto chirurgico di elettrodi in varie regioni del cervello. Durante compiti di memoria visiva, i ricercatori hanno somministrato stimolazioni elettriche MDM per valutare il loro impatto sulla ritenzione della memoria.
I risultati hanno rivelato miglioramenti significativi nel nel recupero dei ricord tra i partecipanti che hanno ricevuto la stimolazione. Al momento, circa il 22% di loro ha mostrato miglioramenti notevoli nelle prestazioni.
Recuperare ricordi perduti, prospettive future
I ricercatori sottolineano la necessità di ulteriori studi per perfezionare la tecnologia e sbloccare il suo pieno potenziale nel recupero dei ricordi. C’è la speranza che i progressi nella stimolazione basata su MDM possano consentire agli individui di vivere in modo più indipendente, aiutandoli in compiti critici come la gestione dei farmaci e la sicurezza domestica.
Questa ed altre ricerche sulla memoria e le tecnologie neurali sono al centro di un’evoluzione che potrebbe trasformare il modo in cui trattiamo malattie come l’Alzheimer, gli ictus e le lesioni cerebrali. Si stanno aprendo nuove strade nella comprensione del funzionamento del cervello, e nuove speranze per milioni di persone che soffrono di disturbi della memoria.
Ci avviciniamo sempre di più alla possibilità di recuperare ricordi perduti e migliorare significativamente la qualità della vita.