Trasformare un capolavoro letterario in una serie TV è sempre un’impresa rischiosa. Ancora di più quando si tratta di un’opera complessa e stratificata come “Il problema dei tre corpi” di Cixin Liu, considerato uno dei massimi esempi di fantascienza cinese contemporanea. Netflix ci ha provato, affidando il progetto nelle mani di pesi massimi come David Benioff e D.B. Weiss, già showrunner di Game of Thrones, e Alexander Woo. Il risultato? Una serie affascinante ma imperfetta, che riesce a catturare lo spirito del romanzo ma (almeno per me) non la sua brillantezza.
Il fascino dell’infilmabile
Diciamolo subito: portare sullo schermo “Il problema dei tre corpi” sembrava una missione impossibile. Il romanzo di Liu è un trip lisergico di fisica quantistica, tema della Matrix e storia cinese, con una trama labirintica che si dipana su più linee temporali. Roba da far impallidire anche il più navigato degli sceneggiatori hollywoodiani. Le sorelle Wachowski, che pure hanno fatto “Cloud Atlas”, ci si impiccherebbero.
Ma si sa, a Netflix piacciono le sfide. E così, armati di un budget faraonico e di un cast stellare (c’è perfino Benedict Wong, il Wong del Marvel Cinematic Universe!), Benioff, Weiss e Woo si sono buttati a capofitto nell’impresa. E hanno scelto di semplificare la complessità del materiale originale per renderlo più accessibile al grande pubblico. Sapete che vi dico, però? Forse in questo processo si perde parte della magia.
A proposito: sapete cos’è il problema dei tre corpi in fisica?
Immaginate di avere tre sfere nello spazio: una rossa, una blu e una verde. Queste sfere rappresentano tre corpi celesti, come stelle o pianeti. Ora, immaginate che queste sfere si attirino a vicenda grazie alla forza di gravità. La sfera rossa attira la blu e la verde, la blu attira la rossa e la verde, e così via.
Il problema dei tre corpi consiste nel capire come si muoveranno queste sfere nel tempo, considerando le loro posizioni iniziali, le loro masse (quanto sono “pesanti”) e le loro velocità (quanto velocemente si muovono). Sembra semplice, vero? Ma in realtà è molto complicato! Questo perché il modo in cui ogni sfera si muove dipende da come si muovono le altre due. Ogni cambiamento nella posizione di una sfera influenza le altre, rendendo il loro movimento imprevedibile e caotico.
Per oltre 300 anni, scienziati e matematici hanno cercato di trovare una soluzione esatta a questo problema, ma è talmente complesso che non sono riusciti a trovarne una che funzioni in tutti i casi. Quindi, in poche parole, il problema dei tre corpi riguarda la difficoltà di prevedere come si muoveranno tre oggetti nello spazio quando si attraggono a vicenda, a causa della natura caotica delle loro interazioni gravitazionali.
Addio Cina, benvenuto mondo
Una delle mosse più audaci (e discutibili) de “Il problema dei tre corpi” è stata quella di “globalizzare” la storia, trasformando i personaggi cinesi del libro in un gruppo eterogeneo di scienziati provenienti da tutto il mondo. Così, il nanomateriologo Wang Miao diventa un team di cinque ricercatori (ribattezzati “gli Oxford Five”) che include una messicana visionaria, un assistente di ricerca afroamericano e un magnate degli snack britannico.
Da un lato, questa scelta permette allo show di esplorare dinamiche interpersonali assenti nel romanzo, con sottotrame romantiche (e drammi da soap opera) a condire il mistero fantascientifico. Dall’altro, però, si perde l’importanza del contesto storico cinese, con la Rivoluzione Culturale di Mao ridotta a poco più di uno sfondo esotico per le (dis)avventure dei protagonisti.
Il problema dei tre corpi… e di chi sta recensendo
Sia chiaro: la serie di Netflix non è un disastro. Anzi. Ho proprio voglia di vedere come continuerà, se non la cancellano. Quando si tratta di mettere in scena sequenze d’azione mozzafiato o di ricreare le ambientazioni aliene del videogioco “Tre Corpi”, lo show dà il meglio di sé. Merito, come detto, di un budget sconfinato e di effetti speciali all’avanguardia, che rendono giustizia alla visionarietà del materiale originale. Peccato che, concentrandosi così tanto sullo spettacolo visivo, la serie finisca per sacrificare parte della profondità filosofica del romanzo. Le riflessioni sul rapporto tra scienza e potere, sul ruolo dell’individuo nella società e sull’impatto delle scelte personali sulla storia vengono ridotte a poco più di sottotesti, soffocate dal ritmo serrato della narrazione e dalle esigenze di una trama semplificata.
Ad ogni modo, guardare “Il problema dei tre corpi” su Netflix non è tempo sprecato. La serie funziona come un thriller fantascientifico ben confezionato, con un cast carismatico e una confezione visiva di prim’ordine. E per chi non ha mai letto il romanzo, può essere un’ottima introduzione ai temi e alle idee chiave della trilogia di Liu.
E per i fan della saga letteraria? Mi riservo di chiedere al solerte Toni, quello che in agenzia ha sfogliato con più cura di tutti le pagine dell’opera. Ho la personale impressione che per i fan la serie rischi di essere una delusione. Non tanto per le libertà che si prende rispetto al materiale originale (del resto, ogni adattamento è una reinvenzione), quanto per la sua incapacità di restituire la complessità e la profondità dell’opera di partenza.
In fin dei conti, la serie di Netflix sembra più interessata a vendere “Il problema dei tre corpi” come il nuovo Game of Thrones che a esplorarne davvero le implicazioni filosofiche e scientifiche. E se da un lato è comprensibile (in fondo, stiamo pur sempre parlando di una piattaforma mainstream), dall’altro non posso non provare un po’ di amarezza per l’occasione mancata.
Il futuro è un’incognita. Il problema dei tre corpi? Pure.
Che dire: sono stato bravo? Vi ho spoilerati? No di certo. Anche se questa cosa sta diventando frustrante, avrei voluto dirvi la mia su certe scene incredibili. Tipo quella in cui il NO, STO SCHERZANDO! Non vi dirò nulla. Ad ogni modo resta da vedere se, nelle eventuali stagioni successive, “Il problema dei tre corpi” saprà evolversi e abbracciare la follia visionaria dei romanzi successivi di Cixin Liu. Del resto, la prima stagione sembra più che altro un preludio, una lunga introduzione a un universo narrativo molto più vasto e complesso.
C’è da sperare che, forti del successo (si spera) di questi primi episodi, Benioff, Weiss e Woo trovino il coraggio di osare di più, di spingersi oltre i confini della sci-fi televisiva convenzionale per restituirci davvero la grandezza dell’opera originale. E senza incartarsi come quelli di Westworld che mi hanno tanto, tanto deluso. Lo so bene, il rischio del fallimento è sempre dietro l’angolo. Ma in fondo, come ci insegna proprio “Il problema dei tre corpi”, è proprio dall’incontro tra caos e ordine che nascono le cose più interessanti.
E allora, Netflix, sorprendici. Perché il futuro di questa serie, proprio come quello dell’umanità, è ancora tutto da scrivere.