Kenn Dahl si è sempre considerato un guidatore attento. 65 anni, proprietario di una società di software vicino a Seattle, guida un’auto elettrica in leasing. Mai fatto un incidente in vita sua. Per questo è rimasto sorpreso nel 2022 quando il costo della sua assicurazione auto è aumentato del 21%. Di colpo anche i preventivi di altre compagnie assicurative erano alti. Un agente assicurativo gli ha detto che il suo rapporto LexisNexis (se non sapete cos’è, eccolo) era un fattore determinante. Non è una puntata di Black Mirror, anche se quello che Dahl ha scoperto lo ha lasciato sbalordito. Le sue abitudini di guida sono state monitorate e condivise con le assicurazioni senza il suo esplicito consenso.
Questa è una storia tutta americana, forse, e per ora. Ho realizzato questo articolo a partire da un reportage uscito in settimana sul New York Times, lo trovate qui. Perchè ho scelto di proporvelo? Come spesso accade, è un modo per guardare al futuro dell’Europa, nel bene e nel male. Ma per quanto ne so, potrebbe essere già il presente anche qui.
Un tradimento su due piedi. Anzi, su quattro ruote
Per Dahl, la scoperta è stata un vero e proprio shock. “Mi è sembrato un tradimento”, ha detto. “Stanno prendendo informazioni che non sapevo sarebbero state condivise e le usano per alzare il prezzo delle assicurazioni”. Ma il suo caso è tutt’altro che isolato. Negli ultimi anni, diverse case automobilistiche (tra cui GM, Honda, Kia e Hyundai) hanno iniziato a offrire nelle loro app per auto connesse funzionalità opzionali che valutano lo stile di guida delle persone. Quello che molti conducenti non si rendono conto è che, se attivano queste funzioni, le case automobilistiche condividono i dati su come guidano con broker di dati come LexisNexis.
Assicurazioni, il prezzo nascosto della connettività
Le auto moderne sono connesse a Internet, consentendo l’accesso a servizi come la navigazione, l’assistenza stradale e le app per auto che i conducenti possono collegare ai loro veicoli per localizzarli o sbloccarli da remoto. Ma questa connettività ha un prezzo: i dati sulla nostra guida sono diventati una merce preziosa, venduta dalle case automobilistiche a insaputa dei proprietari.
Particolarmente preoccupante è che alcuni conducenti con veicoli prodotti da GM affermano di essere stati tracciati anche quando non avevano attivato la funzione (chiamata OnStar Smart Driver) e che le loro tariffe assicurative sono aumentate di conseguenza. GM sostiene che il servizio è opzionale e che i clienti possono disiscriversi in qualsiasi momento, ma il processo di consenso è tutt’altro che trasparente. Poi ci si chiede perchè fanno sensazione le notizie su brevetti che prevedono il blocco “autonomo” di un’auto, che ritorna da sola alla base se si salta una rata per acquistarla.
Politiche sulla privacy? Incomprensibili
Anche per chi opta consapevolmente per questi programmi, i rischi sono tutt’altro che chiari. “Sono sorpreso”, dice Frank Pasquale, professore di diritto alla Cornell University. “Poiché non rientra nelle ragionevoli aspettative del consumatore medio, dovrebbe certamente essere una pratica del settore delle assicurazioni informare in modo prominente che ciò sta accadendo”.
I ricercatori che hanno esaminato le politiche sulla privacy delle case automobilistiche le hanno definite “un incubo per la privacy”, piene di gergo legale incomprensibile per i consumatori.
Profitti sulla pelle dei conducenti
Né le case automobilistiche né i broker di dati negano di essere impegnati in questa pratica, anche se le prime affermano che lo scopo principale dei loro programmi di feedback per i conducenti è aiutare le persone a sviluppare abitudini di guida più sicure. Ma alcuni sospettano che il vero motivo sia un altro: i soldi. Secondo un dipendente a conoscenza del programma Smart Driver di GM, il fatturato annuo dell’azienda derivante dal programma è nell’ordine di pochi milioni di dollari.
“Le case automobilistiche sono davvero brave a cercare di collegare queste funzioni alla sicurezza e a dire che sono tutte incentrate sulla sicurezza”, dice Jen Caltrider, una ricercatrice di Mozilla. “In realtà, si tratta di fare soldi”. Chi l’avrebbe mai detto.
Una pratica sotto esame
Negli USA, questa raccolta di informazioni sensibili dalle auto dei consumatori sta attirando l’attenzione delle autorità di regolamentazione e dei legislatori. L’autorità per la privacy della California, ad esempio, sta indagando sulle pratiche di raccolta dati delle case automobilistiche. “L”Internet delle cose’ si sta davvero intromettendo nella vita di tutti gli americani”, ha detto il senatore Edward Markey in un’intervista. “C’è una collusione tra case automobilistiche e assicurazioni che usano dati raccolti da un proprietario di auto ignaro, per poi aumentare le sue tariffe assicurative. Questa è, dal mio punto di vista, una pratica commerciale sleale e ingannevole che danneggia i consumatori”.
Per alcuni esperti, questa pratica solleva preoccupazioni non solo sulla privacy, ma anche sull’equità. “L’iscrizione furtiva a programmi con una raccolta di dati ‘sorprendente e potenzialmente dannosa’ è preoccupante”, dice Omri Ben-Shahar, professore di diritto all’Università di Chicago. Per me hanno tutti ragione. Dunque?
Assicurazioni (e non solo): un futuro da incubo per la privacy?
Se le persone non sanno che il loro stile di guida influenzerà il costo delle assicurazioni, non c’è alcun beneficio per la sicurezza pubblica. Al contrario, questa pratica rischia di penalizzare ingiustamente conducenti che potrebbero essere etichettati come “rischiosi” in base a criteri opachi e discutibili.
Con l’avanzare della tecnologia delle auto connesse, il problema non farà che peggiorare. Se non verranno messe in atto regole più severe sulla trasparenza e il consenso, potremmo ritrovarci in un futuro distopico in cui ogni nostra mossa al volante viene monitorata, analizzata e usata contro di noi, trasformando le nostre auto da simboli di libertà a strumenti di sorveglianza.
È tempo che case automobilistiche, broker di dati e assicurazioni mettano un freno a questa pratica insidiosa. I consumatori hanno il diritto di sapere cosa succede ai loro dati e di avere un reale controllo su di essi. Altrimenti, il prezzo della connettività potrebbe essere la nostra stessa privacy.