Chiamatemi scettico, ma quando ho letto che i ragazzi del SETI Institute avevano “conversato” con una balena, la mia prima reazione è stata: “Sì, certo, e io sono una pizza margherita”. Voglio dire, parliamo di un istituto che passa le giornate a scandagliare il cosmo in cerca di segnali extraterrestri, e ora ci viene a raccontare di aver fatto quattro chiacchiere con Moby Dick?
Poi però ho letto i dettagli della storia (leggeteli anche voi) e, devo ammetterlo, la cosa ha iniziato a intrigarmi. Perché se c’è una cosa che accomuna balene e alieni, è la categoria “esseri intelligenti con un linguaggio a noi sconosciuto”. E se trovassimo la chiave per decifrarlo?
Due ‘parole’ con la balena: un esperimento fuori dagli schemi
Partiamo dai fatti: a dicembre 2023, un team di ricercatori del SETI Institute ha condotto un esperimento al largo delle coste dell’Alaska. L’idea era semplice quanto audace: riprodurre sott’acqua delle registrazioni di megattere e vedere se qualche balena avrebbe risposto. Ebbene, dopo diversi tentativi andati a vuoto, una femmina di nome Twain ha iniziato a circolare intorno alla barca, imitando i suoni. Ben 36 “contatti”, dicono i ricercatori, in 20 minuti.
Ora, prima di gridare al miracolo, mettiamo le cose in prospettiva. Non è che Twain abbia iniziato a discutere di filosofia o a recitare Shakespeare. Probabilmente, come ammettono gli stessi ricercatori, si è trattato di un semplice “ciao” ripetuto più volte. Ma anche questo, nel contesto della comunicazione interspecie, è un risultato notevole.
La balena, un “alieno” dei mari
Ma perché studiare una balena per preparare un ipotetico incontro con gli extraterrestri? La risposta, secondo il SETI Institute, sta nell’intelligenza di questi cetacei e nella complessità del loro linguaggio. “Le balene sono un surrogato degli alieni”, spiega Josie Hubbard, ricercatrice del SETI ed etologa dell’Università della California a Davis.
In effetti, il “canto” delle megattere è uno dei suoni più affascinanti e misteriosi della natura. Composto da fischi, gemiti, fruscii e schiocchi, sembra seguire regole sintattiche precise, anche se il suo significato ci sfugge. Alcuni scienziati pensano che possa servire a comunicare la propria posizione, a corteggiare le femmine o a definire i confini del territorio. Altri ipotizzano che possa avere una funzione culturale, trasmettendo informazioni attraverso le generazioni. Una specie di “epica cetacea”, per così dire.
I limiti della comunicazione interspecifica
Certo, siamo ancora lontanissimi dal poter decifrare il linguaggio delle balene, per non parlare di quello di ipotetiche civiltà aliene. L’esperimento del SETI Institute, per quanto affascinante, ha dei limiti evidenti.
In primo luogo, non sappiamo cosa abbia effettivamente “detto” Twain, ammesso che abbia detto qualcosa. Potrebbe aver scambiato i ricercatori per un potenziale partner, o per una minaccia da allontanare. O forse stava solo giocando con questi strani bipedi e i loro buffi suoni.
In secondo luogo, anche se riuscissimo a tradurre il “vocabolario” delle megattere, resterebbe da capire il contesto culturale e sociale in cui viene usato. Le balene, come gli umani, non si limitano a scambiarsi informazioni pratiche, ma costruiscono relazioni, esprimono emozioni, tramandano tradizioni. Decifrare questi aspetti richiederebbe una conoscenza approfondita della loro “civiltà”, se mi passate l’espressione.
Un passo nella giusta direzione
Detto questo, l’esperimento del SETI Institute resta una piccola-grande pietra miliare nella ricerca di un “linguaggio universale” per comunicare con intelligenze non umane. Dimostra che, con pazienza e ingegno, è possibile stabilire un contatto, per quanto rudimentale, anche con una specie radicalmente diversa dalla nostra. E suggerisce che, se mai dovessimo incontrare degli extraterrestri, forse dovremmo approcciarli come faremmo con una balena: con rispetto, curiosità e umiltà.
Certo, il cammino è ancora lungo. Prima di sognare di chiacchierare con ET, forse dovremmo imparare a dialogare con i nostri “alieni” più prossimi: i grandi cetacei che solcano i nostri mari da milioni di anni, custodi di segreti e forse di saggezza. Un giorno Twain e i suoi simili ci riveleranno la chiave per decifrare il loro canto (con gli uccelli succede già).
E chissà che quella stessa chiave non possa aprire anche le porte delle stelle.