L’attacco missilistico iraniano contro Israele in risposta al bombardamento dell’ambasciata dell’Iran a Damasco ha scosso il delicato equilibrio di potere in Medio Oriente, aprendo le porte a un potenziale conflitto tra le due potenze regionali. Sebbene i missili non abbiano praticamente causato danni diretti (solo un ferito, un bimbo di 10 anni cui vanno tutti i nostri auguri di pronta guarigione) l’incidente segna un pericoloso precedente nelle relazioni tra Teheran e Gerusalemme, due stati separati da 1000 chilometri (620 miglia) di distanza e da decenni di ostilità.
Ora, mentre le tensioni salgono e le opzioni sul tavolo (purtroppo) si restringono progressivamente, il mondo trattiene il respiro: cosa succederebbe se questo equilibrio già compromesso si spezzasse del tutto?
Una guerra a distanza con armi limitate
La geografia è il primo fattore che condiziona le opzioni militari di Iran e Israele. Con una distanza, come detto, di 1000 chilometri tondi tra loro, entrambi i paesi si trovano a fare i conti con limiti operativi significativi. Provo a scendere sul piano pratico grazie agli spunti ricevuti da qualche fonte pratica del tema (accetto aggiunte, nel caso).
Dunque: gli F-16 e F-35 israeliani, anche con serbatoi di carburante aggiuntivi, avrebbero un raggio d’azione di circa 1200-1600 chilometri (800-1000 miglia). Questo significa che solo una piccola parte delle forze aeree di Tel Aviv potrebbe raggiungere il cuore dell’Iran, e solo con un complesso sistema di rifornimento in volo. Dall’altra parte, anche i Mig e gli F-14 iraniani soffrono di simili limitazioni.
Iran-Israele: le opzioni non convenzionali e i proxy regionali
Di fronte a questi evidenti vincoli operativi, suona importante il “rifiuto” formale degli USA a sostenere un nuovo attacco israeliano. Nel gioco delle parti, Israele sa di dover rispondere nuovamente all’Iran per la sua dottrina fondata sulla deterrenza, e le dichiarazioni delle ultime ore vanno in questa direzione. Per questo potrebbe ricorrere a strumenti non convenzionali per colpire Teheran. Posto che Gerusalemme non desisterà, operazioni “mirate” del Mossad o attacchi informatici su larga scala sono opzioni che potrebbero evitare un’escalation incontrollata.
La vera partita, però, potrebbe giocarsi sul terreno delle milizie regionali. Al di là del primo attacco diretto verso Israele (dal forte valore politico e simbolico) l’Iran ha da tempo costruito una rete di proxy, attori che agiscono “conto terzi” al suo posto. Dalle milizie in Yemen, Siria e Iraq fino a Hezbollah in Libano. Gruppi che rappresentano in qualche modo la longa manus di Teheran, e agiscono infliggendo danni e subendo perdite (negli ultimi 6 mesi, gli scontri tra Israele e Hezbollah hanno causato un numero incalcolabile di sfollati civili e vittime tra le fila del gruppo libanese).
Il dilemma strategico di Gerusalemme, tra il sostegno e le “pinze” degli alleati
Israele (che trovo in forte debito di buon senso, data l’abnorme, abominevole reazione ai turpi attentati del 7 ottobre) si trova dunque di fronte a un dilemma strategico: come rispondere all’attacco iraniano senza innescare un’escalation incontrollabile?
Una rappresaglia diretta rischierebbe di scatenare una reazione a catena, trascinando la regione, forse il pianeta, in un conflitto devastante. Allo stesso tempo, la leadership politica di Tel Aviv, sempre più “balcanizzata” dai falchi, sente la pressione di mostrare ai propri cittadini che non resterà a guardare mentre il paese viene attaccato. Un’altra possibile via d’uscita potrebbe essere quella di intensificare le azioni contro le milizie filo-iraniane, inviando un messaggio di fermezza senza colpire direttamente Teheran.
Anche questa strategia non è priva di rischi. In questo delicato equilibrio, anche un singolo incidente di frontiera o un malinteso potrebbero far precipitare la situazione. Senza contare il ruolo imprevedibile di attori esterni, dagli Stati Uniti (nonostante le “prudenze” esibite) alla stessa Russia, ognuno con i propri interessi e le proprie leve di influenza nella regione.
Iran-Israele un nuovo capitolo del conflitto
L’ho scritto in altre occasioni, anche molto prima dello scoppio di quest’ultima parte del conflitto russo-ucraino, autorizzando sempre agli scongiuri. Tra un secolo, gli studenti potrebbero ricordare gli ultimi 5 anni come tappe di avvicinamento ad un conflitto mondiale.
E l’attacco missilistico iraniano, pur con tutte le cautele adottate (un preavviso e delle modalità quantomeno “irrituali”) e senza danni diretti, potrebbe dunque segnare l’inizio di un nuovo capitolo nelle ostilità tra Iran e Israele. Uno scontro a bassa intensità, fatto di schermaglie a distanza, rappresaglie mirate e guerre per procura, ma non per questo meno pericoloso. Perché in un contesto così volatile, basta una scintilla per far divampare l’incendio.
La comunità internazionale ha il dovere di esercitare tutta la sua influenza per favorire la de-escalation. È il momento di lavorare per la pace, prima che sia troppo tardi. Perché in guerra non ci sono mai vincitori, solo vittime e devastazione. E questo è un prezzo che nessuno può permettersi di farci pagare.