“Io e mio figlio ci inviamo rapporti settimanali su tutto ciò che appare sui nostri dispositivi. Se spunta qualcosa di discutibile, come partner di responsabilità ricevo una notifica immediata”. A parlare con orgoglio di questo stringente patto familiare non è un padre qualunque, ma Mike Johnson, speaker repubblicano alla Camera dei Rappresentanti USA. Cosa c’è dietro? Covenant Eyes, un’app di monitoraggio online cristiano che sta conquistando la destra religiosa americana.
Tra timori di controllo eccessivo e dubbi sull’efficacia, comunque, questa app solleva più domande che risposte. Io ve ne parlo qui, poi valutate voi.
Un’app “bigotta” per monitorare il consumo sconcio
Il funzionamento di Covenant Eyes (qualcosa come “Occhi alleati” se non vi interessa la traduzione letterale, ma la sostanza)? L’app traccia i movimenti online dell’utente e segnala qualsiasi contenuto ritenuto inappropriato, in particolare materiale zozzo. Fornicazione: no buono, per sintetizzare.
Quindi invia un rapporto di questa attività a un “partner di responsabilità”, qualcuno nella tua cerchia che, a sua volta, ha la propria attività monitorata da te. Che ne dite?
Un affare da 26 milioni di dollari
Dietro Covenant Eyes c’è Ron DeHaas, un evangelista per cui cose come la pornografia sono collegate strettamente al traffico sessuale. Ha fondato l’azienda nel 2000 per proteggere i suoi due figli, all’epoca adolescenti, da quella che ritiene essere “un’apocalisse a luci rosse”. Non è andata male: oggi Covenant Eyes impiega 200 persone, e ha profitti annui per 26 milioni di dollari.
E allora via al cross selling: a gennaio DeHaas ha lanciato Victory, un’app “sorella” per ottimizzare il servizio offerto da Covenant Eyes. Il suo sensore rimane silenzioso sul dispositivo dell’utente e utilizza l’intelligenza artificiale per scansionare attività “deplorevoli” e bloccare siti web espliciti. Covenant Eyes verrebbe installato su tutti i dispositivi per formare un sistema di protezione, mentre Victory è dove vengono raccolti tutti i dati: una vera e propria rete di spionaggio contro il consumo di pornografia.
Covenant Eyes: educazione o controllo?
Apro con una domanda da schiaffi: ma queste misure sono davvero necessarie in una società dipendente dal porno? Ho chiesto ad una brillante psicologa e psicoterapeuta di mia conoscenza: mia moglie, Lucia Imperatore.
Per lei, l’approccio di Johnson rivela una mancanza di comprensione della sessualità: “quest’app non ha nesso con l’educazione sessuale, perché non si tratta di educare ma di controllare. Può produrre, specie nei giovani, un vissuto di angoscia rispetto alla sessualità. Il problema non è l’app in sé, che non è buona né cattiva. È l’approccio che sta alla sua base”. E ora, dopo la moglie, vi beccate anche i miei dubbi.
Dubbi sull’efficacia e sulla privacy
Anzitutto: dubito che questa app funzioni. Penso sia servita più come espediente pubblicitario, e come veicolo di guadagni. Per produrre i suoi risultati, in ogni caso, questa piattaforma ha accesso a tutto ciò che è privato per l’utente, non solo attività su territori “osé”. Rileva anche se si guardano “con cupidigia” corpi svestiti in siti diversi da quelli proibiti?
Una totale devastazione della privacy per un magro bottino. Certo, in linea puramente teorica app come Covenant Eyes possono rendere consapevoli di ciò che l’abuso di pornografia può fare a breve e lungo termine, e sui danni degli eccessi non si discute. Ma questo va affrontato attraverso l’educazione e la consapevolezza, non con una sorveglianza invasiva mascherata da responsabilità.
Altrimenti, rischiamo di creare una società in cui qualsiasi manifestazione di “non conformità” legata all’eros è vista come qualcosa di sporco e vergognoso, da reprimere e controllare, piuttosto che una parte naturale e sana della vita umana.
Covenant Eyes, in sintesi
L’ascesa di app come Covenant Eyes è il sintomo di un problema più ampio: un approccio alla sessualità basato sulla paura e il controllo, piuttosto che sulla comprensione e l’accettazione. Invece di promuovere un dialogo aperto e onesto su questi temi, libero da giudizi moralistici, sembra che alcuni preferiscano affidarsi a una sorta di “Grande Fratello” digitale, pronto a spiare ogni click del mouse e a trasformare la navigazione online in una confessione permanente.
Ehi, Brooker, c’è materiale per il prossimo Black Mirror, qua. Chissà, forse un giorno avremo app che monitoreranno anche quante volte al giorno pensiamo a qualcosa di “impuro”, inviando rapporti dettagliati ai nostri cari. O magari, per i più audaci, ci sarà un’opzione premium che prevede una scossa elettrica ogni volta che si cerca qualcosa di “sconveniente” online. Perché in fondo, quale modo migliore per costruire una società sana e equilibrata se non quello di trattare tutti come potenziali peccatori da sorvegliare costantemente?
Sia chiaro, la dipendenza da pornografia è un problema serio che può avere conseguenze negative sulla vita delle persone. Ma forse, prima di trasformare la nostra privacy in un reality show a sfondo religioso, dovremmo chiederci se la soluzione non stia nell’educazione, nella comprensione e nell’accettazione della sessualità come parte naturale della vita umana. O almeno, questo è ciò che direbbe qualcuno che non ha paura di qualche pixel nudo qua e là.