Il futuro bussa alle porte, e ha la forma di un microchip sotto pelle. O di un magnete impiantato nel dito. O ancora, di un cervello connesso direttamente a un computer. Sono le tecnologie del postumanesimo, che promettono di potenziare le capacità umane oltre i limiti biologici. E secondo molti, sono destinate a rivoluzionare anche il mondo del lavoro. Ma mentre alcuni sognano un dipendente postumano super efficiente, altri temono una distopia in cui i lavoratori saranno costretti a trasformarsi in cyborg per non perdere il posto. Siamo sull’orlo di una nuova era, o stiamo solo aprendo il vaso di Pandora? Come sempre il futuro sarà da qualche parte tra i due estremi. Vediamo un po’.
Postumano: una definizione
Il postumanesimo è una corrente di pensiero che vede nelle biotecnologie e nell’informatica la possibilità di trasformare l’essere umano in un ibrido umano-non umano, superando i limiti fisici e mentali dell’uomo. Il suo testo di riferimento è “The Posthuman Manifesto” di Robert Pepperell.
Microchip sottopelle: la chiave del futuro?
Tutto è iniziato nel 1998, quando Kevin Warwick, ricercatore di robotica e entusiasta del postumanesimo, si fece impiantare il primo dispositivo di identificazione a radiofrequenza (RFID) sotto pelle. Il dispositivo, una raccolta di microchip e un’antenna che alimenta il dispositivo ed emette segnali, gli ha permesso di controllare luci e aprire porte. Da allora, i microchip sottopelle sono stati usati per garantire l’accesso ai clienti dei locali notturni (o, ad esempio, per scopi di sicurezza dal governo messicano).
Warwick immagina un “futuro postumano” in cui le persone potrebbero usare i chip come chiavi, carte di credito o passaporti. E sebbene non affronti specificamente il tema dei microchip sul posto di lavoro, nota che le persone non vogliono sentirsi forzate ad adottare questo tipo di tecnologia. Suggerisce che le persone potrebbero accettarlo volontariamente solo se sembra una comodità.
Da pubblicitario dico: certo, è ovvio. Tu lo mostri come una comodità, e tante persone si sentono più a loro agio nell’utilizzo. Ma la comodità potrebbe presto o tardi trasformarsi in una forma di obbligo implicito o esplicito, specie in un mercato del lavoro sempre più competitivo. Un recente sondaggio commissionato negli USA da CNN ha rivelato che due terzi dei lavoratori credono che entro il 2035 avere microchip impiantati darà un vantaggio nel mercato del lavoro. E il 57% si è detto disposto a farsi impiantare un chip, a patto di sentirsi al sicuro. Tra i leader aziendali, solo il 31% ha detto lo stesso. La considero comunque una quota sbalorditiva.
Magneti e cervelli connessi: il postumano che avanza
I microchip ad ogni modo, sono solo l’inizio. Quasi archeologia del futuro, per intenderci. Warwick esamina anche tecnologie destinate a estendere la percezione umana, come magneti impiantati sotto pelle per permettere alle persone di “sentire” informazioni raccolte da sensori esterni. E poi c’è il santo graal del postumanesimo: la connessione diretta tra cervello e computer. Synchron, Neuralink e tante aziende o laboratori ci stanno lavorando alacremente.
Warwick stesso ha sperimentato una serie di microelettrodi attaccati al suo cervello, riuscendo a ricevere informazioni da sensori a ultrasuoni e a controllare oggetti esterni usando segnali neurali. Ad esempio, mentre si trovava in Inghilterra, è stato in grado di controllare una mano robotica a New York e ricevere feedback dalle dita robotiche inviate come stimolazione neurale.
Le attuali tecnologie possono fare qualcosa di simile, ma trasmettendo più dati e usando hardware sempre meno invasivo. Sia Warwick che Musk immaginano una vasta trasformazione delle capacità umane attraverso connessioni senza soluzione di continuità tra computer ad alte prestazioni e cervelli umani.
Potenziarsi per lavorare, ripeto la domanda: scelta o obbligo?
Mentre questi scenari da fantascienza mostrano sempre più sprazzi di realtà, emergono tutti gli interrogativi del caso, alcuni inquietanti. Quanto potranno chiedere i datori di lavoro ai dipendenti di trasformarsi per il loro lavoro? Sarà una scelta o diventerà un obbligo de facto per rimanere competitivi?
La questione è inevitabilmente legata ai rapporti di potere. Se i lavoratori sentono di non avere scelta, l’adozione di tecnologie postumane potrebbe diventare una forma di coercizione, una “corsa agli armamenti biologici” imposta dal mercato.
D’altra parte, c’è chi vede in questo salto postumano in avanti un’opportunità di emancipazione, un modo per superare i limiti del corpo e della mente e raggiungere nuovi traguardi. Ma a quale prezzo? E chi deciderà quale sia il limite da non superare?
L’umanità a un bivio
In un certo senso, i postumani sono già tra noi. Ogni volta che usiamo uno smartphone o cerchiamo qualcosa su Google, stiamo di fatto potenziando le nostre capacità cognitive attraverso la tecnologia. I microchip e i cervelli connessi sarebbero solo l’evoluzione logica di questo processo. Questo, ovviamente, osservando solo l’aspetto razionale della questione, quello “tecnico”. In realtà la questione è più complessa. C’è una differenza fondamentale tra usare uno strumento esterno e modificare irreversibilmente il proprio corpo. Qualcuno mi dirà che esistono già modifiche irreversibili socialmente accettate, ad esempio in chirurgia estetica, o nel campo dei trapianti. Io porto il mio dubbio: perchè in questo caso, la modifica fa una differenza che tocca la nostra stessa essenza di esseri umani.
Siamo a un bivio. Da una parte, la tentazione di abbracciare una trasformazione a 360°, diventando qualcosa di sovrumano. Dall’altra, il rischio di perdere quello che oggi ci rende unici e speciali, sacrificando la nostra umanità (magari sull’altare dell’efficienza e della competitività). Davvero, nel caso, un modo per coesistere con le macchine sarebbe quello di sfidarle sul loro terreno, diventando macchine a nostra volta?
Non ci sono risposte facili. Una certezza ce l’ho, purtuttavia: il futuro del lavoro e dell’umanità stessa si deciderano in base a come affronteremo questa sfida. Possiamo scegliere di cavalcare l’onda del cambiamento con consapevolezza e saggezza, ponendo l’etica e il benessere umano (e postumano) al centro del progresso. Oppure possiamo lasciarci travolgere, e risvegliarci un giorno in un mondo in cui essere umani… semplicemente non basta più.
Il postumano è alla finestra, non è ancora arrivato a bussasre alla porta: sta a noi decidere se accoglierlo, e se come un ospite o come un invasore. La scelta che faremo potrebbe cambiare per sempre il volto del lavoro e della società. Vorrei che tutti sentissero l’esigenza di affrontare la questione, perchè (questa sì) è già sotto la nostra pelle.