Il 3 febbraio 2024 gli abitanti di Seine et Port, un piccolo villaggio francese, hanno preso una decisione storica: rendere il loro comune “smartphone-free”. Questo referendum, che a prima vista potrebbe sembrare una boutade, è in realtà il segnale di una crescente consapevolezza degli effetti negativi che l’uso pervasivo degli schermi sta avendo sulla nostra vita mentale e sociale. Ma è anche il punto di partenza per immaginare un futuro diverso, in cui le città non siano più dominate dagli schermi, ma tornino ad essere luoghi di incontro, interfacce di scoperta e di condivisione. È questa la visione alla base del progetto Screenless Cities di Urban AI.
Una scelta simbolica contro l’invasione degli schermi
La decisione di Seine et Port può sembrare irrilevante, se si considera che solo 146 abitanti su 718 hanno votato a favore del referendum. Inoltre, in Francia non è legalmente possibile vietare l’uso degli smartphone negli spazi pubblici. Eppure, questo voto ha un valore simbolico importante. È un segnale di allarme contro i danni a quella che Hannah Arendt chiamerebbe “la vita della mente”, causati dall’invasione degli schermi nella nostra quotidianità.
Sentiamo nel nostro stesso corpo l’esaurimento provocato dal loro uso prolungato. È come se la nostra mente fosse rinchiusa in quei rettangoli luminosi non appena li tocchiamo. Ci stanno rubando la vita.
Hubert Beroche, fondatore di Urban AI.
Dagli “Smombies” alle interfacce sensibili
L’abuso di smartphone non ha solo conseguenze individuali, ma anche ripercussioni sulla vita urbana. Basti pensare al fenomeno degli “Smombies” (da “smartphone” e “zombies”), persone talmente assorbite dai loro schermi da diventare cieche all’ambiente circostante, al punto da causare incidenti stradali. O ai modi in cui app come Google Maps o i servizi di ride-hailing stanno ridisegnando le centralità urbane e gli spazi informali delle città. Spesso all’insaputa degli amministratori locali. Il buono e il cattivo di un cambiamento epocale.
Di fronte a queste sfide, Urban AI propone una visione alternativa. Quale? Quella delle Screenless Cities, città in cui l’attenzione delle persone è spostata dagli schermi all’ambiente urbano stesso. Non si tratta di rifiutare la tecnologia, ma di integrarla in modo più armonico e meno invasivo nel tessuto delle città, ad esempio attraverso le “Sensible Interfaces”. Cosa sono? Prendo in prestito una definizione dello stesso fondatore di Urban AI, Hubert Beroche.
Le Sensible Interfaces sono interfacce multisensoriali e senza schermi per incorporare i dati negli spazi fisici. Stiamo progettando e sviluppando queste soluzioni con diverse municipalità e fornitori di AI per materializzare i loro dati urbani (come dati acustici, energetici, ambientali) negli spazi pubblici.
Ridare vita alle città attraverso interfacce e dati
L’obiettivo delle interfacce sensibili, in sostanza, è quello di distribuire informazioni e rendere i dati urbani leggibili e utilizzabili per le persone, ma anche di portare trasparenza ed efficienza ai sistemi urbani. Un esempio è il progetto “Nuage Vert” del collettivo HeHe, che nel 2008 ha utilizzato un laser verde ad alta potenza per illuminare le emissioni di una centrale a carbone di Helsinki. Per evidenziare la nuvola di vapore emessa dall’inceneritore di rifiuti domestici viene utilizzata una telecamera termografica accoppiata ad un raggio laser verde che evidenzia in tempo reale i contorni del pennacchio, rendendo visibile e tangibile l’impatto dei consumi energetici.
Questo tipo di interventi dimostra come la fisicizzazione dei dati possa non solo informare, ma anche responsabilizzare e coinvolgere attivamente i cittadini nella gestione delle risorse urbane. In altre parole, le Screenless Cities non sono semplicemente città senza schermi. E men che meno città senza digitale. Sono città in cui i dati diventano beni comuni, strumenti di partecipazione e di empowerment collettivo.
Verso un futuro urbano più umano e sostenibile
La sfida delle Screenless Cities non è certo facile, in un mondo in cui gli schermi sono diventati interfacce quasi indispensabili per ogni aspetto della vita quotidiana, dal lavoro alla socialità, dalla mobilità all’intrattenimento. Ma è una sfida necessaria, se vogliamo evitare che le nostre città si trasformino in distopie ipertecnologiche, in cui gli esseri umani sono ridotti a consumatori passivi di informazioni e servizi. Un giorno, le odierne Piccadilly Circus o Times Square potrebbero essere praticamente vuote rispetto a intere città ricoperte di schermi, che mandano continuamente messaggi.
Come scriveva il filosofo Marshall McLuhan, “il medium è il messaggio”: ogni tecnologia che introduciamo nelle nostre vite ne modifica inevitabilmente la scala, il ritmo, i percorsi. Sta a noi scegliere quali messaggi vogliamo inviare e quale futuro vogliamo costruire. Le Screenless Cities sono un invito a recuperare la profondità delle nostre esperienze urbane, a riscoprire il valore degli incontri fortuiti, delle scoperte inattese, delle connessioni autentiche che solo la vita in città può offrire.
Il referendum di Seine et Port è solo un piccolo passo simbolico, ma è un passo importante. Perché ci ricorda che un altro modo di vivere e progettare le città è difficile, difficilisimo: ma non impossibile. Se solo abbiamo il coraggio di alzare lo sguardo dai nostri schermi e di immaginarlo insieme.