Cercare civiltà extraterrestri è sempre come andar per aghi nei pagliai: è difficile perfino sapere cosa cercare. Finora, abbiamo più o meno cercato segnali e tracce simili a quelli che emettiamo noi, presumendo che gli alieni usino tecnologie come le nostre, basandoci sulle leggi della fisica. Ma se le civiltà aliene fossero così avanzate da aver abbandonato le tecnologie che noi consideriamo rilevabili? Nel 1963, l’astronomo sovietico Nikolai Kardashev propose una scala per classificare le ipotetiche civiltà extraterrestri in base alla loro capacità di sfruttare l’energia, offrendo così un metro di misura del loro livello di avanzamento e nuovi indizi su cosa cercare nell’universo.
È un tema che gli appassionati e i cultori conoscono bene. Voglio introdurlo a chi magari non sa neanche cosa sia la scala Kardashev: per questo, amici più “addentro”, troverete iper semplice l’articolo. Anzi, se avete spunti per spiegare meglio la cosa, sapete dove trovarmi. E ora, torniamo a noi.
La logica e i limiti della ricerca di segnali alieni
Inizio subito col dire che cercare segnali e tracce simili a quelli che emettiamo è un approccio perfettamente logico. Non è stupido. Dopotutto, le leggi della fisica sono universali, e ci si può aspettare che intelligenze aliene, per quanto diverse, si confrontino con gli stessi problemi e giungano a soluzioni almeno paragonabili.
Tuttavia, come abbiamo visto negli ultimi secoli sul nostro stesso pianeta, le civiltà intelligenti possono rapidamente abbandonare vecchie tecnologie rilevabili man mano che la loro comprensione dell’universo aumenta.
Un esempio lampante? Il passaggio dai segnali analogici a quelli digitali per le comunicazioni. Sebbene i segnali analogici nella gamma che abbiamo usato per le comunicazioni sarebbero un modo piuttosto inefficace di comunicare con pianeti alieni, è possibile che civiltà extraterrestri possano diventare “radio silenti” nel giro di un misero centinaio di anni (che sul piano cosmologico è praticamente un batter d’occhio), rendendo il rilevamento ancora più difficile.
La scala di Kardashev: misurare il progresso delle civiltà
Di fronte a queste sfide, molti scienziati si sono chiesti: che tipo di segnale potrebbe inviare una civiltà più avanzata? E quale livello tecnologico sarebbe necessario per inviarli? Nel 1963, come detto, Nikolai Kardashev tentò di realizzare uno strumento cognitivo per rispondere a queste domande.
Kardashev divise le ipotetiche civiltà (compresa la nostra) in tre tipi, in base a quanta energia sono in grado di sfruttare.
- Le civiltà di Tipo I sono quelle in grado di sfruttare tutta l’energia disponibile sul loro pianeta e usarla per i propri scopi.
- Le civiltà di Tipo II sono in grado di sfruttare l’energia della loro stella, ad esempio costruendo delle Sfere di Dyson, ipotetiche megastrutture costruite attorno alle stelle per questo scopo.
- Le civiltà di Tipo III sono capaci di sfruttare l’energia di un’intera galassia.
Dopo il 2019, anno della scomparsa di Kardashev, si sono aggiunte altre tre classificazioni “apocrife”, per così dire. Partono dallo stesso criterio, ma arrivano a soluzioni parecchio bizzarre e un po’ fuori tema: le riporto per onor di cronaca.
- Le civiltà di Tipo IV sono in grado di sfruttare l’energia del loro universo osservabile.
- Le civiltà di Tipo V sono in grado di sfruttare energia sulla scala eventuale del multiverso.
- Le civiltà di Tipo VI sono in grado di trascendere il tempo e lo spazio.
Torniamo a terra, meglio. Noi che posizione occupiamo sulla scala di Kardashev?
Se guardate la suddivisione delle varie civiltà, avrete capito che non siamo messi bene. Considerato il nostro consumo di energia, noi umani siamo attualmente una civiltà di Tipo 0,72. A uno non ci arriviamo. Eppure, ci diceva Kardashev, nulla è irraggiungibile.
Sebbene le produzioni energetiche delle civiltà di Tipo II e III siano estremamente elevate, Kardashev calcolò che, sulla base di un aumento della produzione energetica sulla Terra dell’1% all’anno, (se andiamo piano, sano e lontano, senza estinguerci) raggiungeremmo questi traguardi rispettivamente in 3.200 e 5.800 anni.
Perché nell’Universo non rileviamo alcuna civiltà diversa dalla nostra?
Anche se producono di gran lunga più energia di noi, le civiltà di Tipo I, hanno comunque una misera produzione di energia. Per questo rilevarle è molto improbabile secondo Kardashev. Ma i segnali inviati dalle civiltà di Tipo II e Tipo III potrebbero essere rilevati (anche se magari non ricambiati) da una civiltà di Tipo I anche con telescopi radio convenzionali non troppo più avanzati dei nostri.
La scala di Kardashev, va detto, è chiaramente speculativa. Per sua natura, si basa su assunzioni che potrebbero rivelarsi errate. Ma ci offre un metro di misura del progresso delle civiltà, e amplia anche le nostre prospettive su cosa cercare nell’universo. Se esistono davvero civiltà così avanzate (e data la vastità dell’universo e la sua durata, sarebbe un’ipotesi ragionevole), potremmo cercare non solo segnali, ma anche altre tracce della loro esistenza, come gigantesche megastrutture usate per sfruttare l’energia.
La scala di Kardashev, in parole povere, è il dito che indica le stelle.
La scala di Kardashev ha il valore di farci riflettere sul nostro stesso posto nell’universo e sul futuro della nostra civiltà. Siamo ancora una civiltà di Tipo 0, è questa la verità, e la conoscete anche voi. Una civiltà che nel 2024 è impastoiata tra guerre, pandemie, sistemi politici ed economici, e dibattiti perfino sul clima e sull’alimentazione dei mezzi di trasporto. Facciamo una fatica boia a sfruttare pienamente le risorse del nostro pianeta.
Kardashev però ci dà una speranza: se continuiamo a progredire, un giorno potremmo scalare la classifica, e forse diventare noi stessi gli alieni che altre civiltà cercheranno di rilevare.
Per questo mi fa ridere chi svaluta la ricerca di civiltà extraterrestri. Non si tratta solo della possibilità di incontrare altri esseri intelligenti. Riguarda l’incontro con noi stessi, e col nostro futuro.
1 commento su “Kardashev, la scala cosmica che classifica le civiltà aliene (e la nostra)”
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