C’è un futuro possibile in cui l’incurabile diventa trattabile, e dove i confini della mortalità umana vengono spinti al limite. È il futuro immaginato da BrainBridge, una startup di neuroscienze e ingegneria biomedica che afferma di aver creato un sistema meccatronico per eseguire trapianti di testa.
L’audace procedura, che l’azienda prevede di effettuare entro i prossimi 8 anni, comporterebbe l’innesto della testa di un paziente su un corpo di un donatore in stato di morte cerebrale, preservando di fatto i ricordi, le capacità cognitive e la coscienza dell’individuo. Sebbene il concetto lasci perplessi (e il video agghiacciati), BrainBridge insiste che la sua tecnologia si basa su ricerche rigorose e ha il potenziale di offrire speranza a chi soffre di condizioni incurabili come paralisi, Alzheimer e alcuni tipi di cancro. Ma come per ogni progresso medico rivoluzionario, l’annuncio solleva profonde questioni etiche e filosofiche sulla natura dell’identità, i confini del corpo umano e il futuro della sanità.
Il sistema AI di BrainBridge: chirurgia robotica e imaging molecolare
Secondo quanto dichiarato da BrainBridge, il loro innovativo sistema per i trapianti di testa si basa su una combinazione di robotica avanzata e algoritmi di intelligenza artificiale. “Il processo impiega sistemi robotici ad alta velocità per prevenire il degrado delle cellule cerebrali e garantire una compatibilità perfetta”, spiega Hashem Al-Ghaili, lo scienziato dietro il progetto in un comunicato. “L’intera procedura è guidata da imaging molecolare in tempo reale e algoritmi AI per facilitare la riconnessione precisa del midollo spinale, dei nervi e dei vasi sanguigni”.
Un aspetto cruciale del sistema è l’uso di “robot chirurgici ad alta velocità” per minimizzare il tempo in cui il cervello del paziente rimane senza flusso sanguigno, riducendo così il rischio di danni cerebrali. Gli algoritmi di intelligenza artificiale analizzano in tempo reale le immagini a livello molecolare per guidare la riconnessione di migliaia di nervi e vasi, un compito che sarebbe impossibile per la sola mano umana.
Ma la tecnologia di BrainBridge non si ferma qui. L’azienda afferma che il suo sistema è in grado di ricostruire i tratti del viso del paziente utilizzando la stampa 3D e l’AI, permettendo il pieno utilizzo dei muscoli facciali dopo il trapianto. Un dettaglio non da poco, considerando l’importanza del volto per l’identità e la comunicazione di una persona.
Trapianti di testa, promesse e perplessità: cosa dicono gli esperti
L’annuncio di BrainBridge ha suscitato reazioni contrastanti nella comunità scientifica. Da un lato, alcuni esperti riconoscono il potenziale rivoluzionario di questa tecnologia per il trattamento di condizioni finora incurabili. “Se funziona, potrebbe dare una seconda possibilità di vita a persone che altrimenti sarebbero condannate”, afferma il dott. James Wilson, neurochirurgo al St. Mary’s Hospital di Londra. “Pensiamo a pazienti con paralisi totale, malattie neurodegenerative in fase avanzata o tumori diffusi. Per loro, i trapianti di testa potrebbero essere l’unica speranza”.
D’altro canto, molti sollevano dubbi sulla fattibilità tecnica ed etica di una tale procedura. “Ci sono ancora enormi incognite”, mette in guardia la dott.ssa Sarah Jameson, bioeticista dell’Università di Cambridge. “Come si può garantire che la persona ‘trapiantata’ mantenga la sua identità e coscienza? E cosa succederebbe se qualcosa andasse storto? Stiamo parlando di interventi ad altissimo rischio, con implicazioni psicologiche ed esistenziali senza precedenti”.
Altri esperti contestano le tempistiche annunciate da BrainBridge, giudicandole troppo ottimistiche. “Anche ammettendo che la tecnologia sia pronta, ci vorranno anni di sperimentazione animale e trials clinici prima di poter tentare qualcosa del genere su un essere umano”, osserva il dott. Marco Rossini, neurochirurgo del Policlinico di Milano. “E questo senza considerare le questioni etiche e legali da affrontare. Mi sembra improbabile che si possa fare un trapianto di testa entro 8 anni, come sostiene l’azienda”.
La prima previsione “ragionata” e competente sulla tempistica dei trapianti di testa risale al 2019. In quell’occasione, il neurochirurgo Bruce Mathew pronosticò il 2030 come anno “giusto’. Gli scarsi progressi del settore negli ultimi 5 anni fanno pensare che la soglia prevista da BrainBridge (2032) sia davvero troppo ottimistica.
Il dibattito etico: identità, consenso e giustizia
Al di là delle sfide tecniche, l’idea stessa dei trapianti di testa solleva interrogativi etici e filosofici senza precedenti. E lo fa dai tempi dei primi, controversi tentativi del neurochirurgo italiano Sergio Canavero (nel 2017).
Il primo riguarda l’identità personale: se la testa di una persona viene trapiantata su un altro corpo, “chi è” il risultato? La persona originale, il donatore del corpo, o un nuovo individuo? E come si definisce la morte in questo contesto?
C’è poi la questione del consenso: il donatore del corpo, presumibilmente deceduto, potrebbe non aver acconsentito all’uso del suo cadavere per trapianti di testa. E il ricevente sarebbe davvero in grado di comprendere e accettare le implicazioni di un intervento così radicale?
Infine, c’è il problema dell’accessibilità. Anche se la tecnologia si rivelasse sicura ed efficace, è probabile che i trapianti di testa rimarrebbero procedure costose e rare, accessibili solo a pochi privilegiati. Questo solleva interrogativi sulla distribuzione delle risorse mediche e sul diritto alla salute per tutti.
Trapianti di testa, tra speranza e cautela, con un pizzico di raccapriccio
L’annuncio di BrainBridge sui trapianti di testa con AI rappresenta indubbiamente una frontiera affascinante e inquietante della medicina. Basta osservare il video dimostrativo della startup per avvertire un certo disagio (è vero o no?).
Ammesso e non concesso che l’azienda riesca a rendere operativa la sua tecnologia, serviranno linee guida rigorose e un’attenta supervisione per garantire che una cosa del genere sia utilizzata in modo responsabile ed equo.
Il futuro dei trapianti di testa è un viaggio che metterà alla prova non solo i confini della medicina, ma anche la nostra comprensione di cosa significa essere umani.