Shanidar Z aveva circa 45 anni quando morì, 75.000 anni fa. Era una femmina Neanderthal, piccola di statura ma probabilmente molto rispettata nel suo gruppo. Oggi, il suo volto ci guarda da un passato remoto, ricostruito in ogni dettaglio grazie al lavoro di un team internazionale di ricercatori. Potrete guardare Shanidar Z negli occhi nel documentario Netflix “I segreti dei Neanderthal,” in uscita sulla piattaforma.
La sua espressione sembra dirci che, forse, le differenze tra noi e i Neanderthal non erano poi così grandi come abbiamo sempre pensato. Gli studi fatti ci dicono che Shanidar Z e i suoi simili seppellivano i loro morti, cuocevano il cibo, si prendevano cura dei più deboli. Scopriamo insieme la storia di questa incredibile ricostruzione frutto della ricerca e della tecnologia.
Il mistero della grotta di Shanidar
Nel cuore dei monti Zagros, in Iraq, si nasconde un luogo che racchiude i segreti di un’umanità perduta. È la grotta di Shanidar, dove negli anni ’50 l’archeologo Ralph Solecki fece una scoperta straordinaria: i resti di diversi Neanderthal, alcuni dei quali sembravano essere stati sepolti intenzionalmente, circondati da ciuffi di polline antico.
Un rituale funebre? Un’offerta floreale per l’Aldilà? Le ipotesi si rincorsero, ma una cosa era certa: i Neanderthal non erano i bruti primitivi che molti immaginavano.
La grotta di Shanidar è stata utilizzata prima dai Neanderthal e poi dalla nostra specie, fornendo così un laboratorio ideale per affrontare una delle più grandi domande dell’evoluzione umana.
Shanidar Z, una Neanderthal tra noi
Shanidar Z fa la sua comparsa in questa storia nel 2018. Scoperta dal team guidato dalle università di Cambridge e Liverpool John Moores, questa femmina di Neanderthal giaceva a pochi passi dal luogo dove Solecki aveva trovato gli altri individui. Il suo cranio, schiacciato dal peso di millenni di sedimenti e frane, è stato pazientemente ricostruito in laboratorio, frammento dopo frammento, come un puzzle 3D ad altissima risoluzione.
Ogni frammento del cranio è stato delicatamente pulito e “consolidato” da sostanze stabilizzanti. Poi è stato aggiunto alla base dati che ha prodotto la ricostruzione (e la successiva stampa 3d) del cranio. Da lì, l’ultima fase: la riproduzione del volto.
Un volto dal passato
Grazie al lavoro certosino dei paleoartisti Adrie e Alfons Kennis, alla fine il volto di Shanidar Z ha preso forma. Ed è un volto in qualche modo familiare, nonostante le differenze: le arcate sopracciliari pronunciate, la sostanziale mancanza di mento, il naso prominente. Principalmente, è un volto che esprime un’umanità profonda, fatta di cure, empatia, ritualità. Un volto che accorcia le distanze evolutive e ci ricorda che, forse, non siamo poi così diversi dai nostri cugini estinti.
Il volto ricostruito suggerisce che le differenze non fossero così nette nella vita reale. E rende forse più facile capire come sia avvenuto l’incrocio tra le nostre specie, al punto che oggi quasi tutti gli esseri umani hanno ancora DNA di Neanderthal.
Altri dettagli di Shanidar Z
Le analisi sui suoi denti suggeriscono, come detto, che fosse una femmina di mezza età: probabilmente una figura rispettata nel suo gruppo. I resti carbonizzati di semi, noci ed erbe intorno al suo corpo indicano che i Neanderthal cucinavano il cibo e lo consumavano in presenza dei loro morti.
Di più: per questi Neanderthal, non sembra neanche esserci stata una netta separazione tra la vita e la morte. Una connessione che ci appare sorprendentemente familiare.
Un’eredità da riscoprire
Guardi negli occhi di Shanidar Z e non puoi fare a meno di chiederti: cosa sarebbe successo se i Neandertal non si fossero estinti? Come sarebbe il mondo oggi se avessimo continuato a convivere con questi nostri cugini, così simili a noi eppure così diversi? Domande destinate a rimanere senza risposta, ma che ci spingono a riconsiderare il nostro posto nell’evoluzione umana e a riscoprire l’eredità di una specie che, forse, non abbiamo mai veramente conosciuto.
In quanto femmina anziana, Shanidar Z potrebbe essere stata un riferimento per il suo gruppo. Ed eccoci qui settantacinquemila anni dopo, ad imparare ancora da lei.
Grazie a Shanidar Z e al lavoro di un team di ricercatori appassionati, il passato si intreccia con il presente in un gioco di specchi in cui la scienza si fa arte, l’arte si fa storia e la storia si fa vita. Un gioco in cui, forse, possiamo finalmente riconoscere nei Neanderthal non solo dei lontani parenti, ma anche una parte di noi stessi.