La fibra di carbonio è da tempo considerata un materiale “miracoloso”. È leggera come la plastica ma resistente come l’acciaio. E trova già ampie applicazioni in campi dove le prestazioni estreme sono fondamentali, dalla Formula 1 all’aerospazio. Cosa succederebbe se, oltre alle sue eccezionali proprietà meccaniche, la fibra di carbonio potesse anche immagazzinare e rilasciare energia come una batteria?
È la sfida raccolta da un team di ricercatori svedesi della Chalmers University of Technology di Göteborg, che dopo anni di studi è riuscito in un’impresa che ha del clamoroso. Quale? Trasformare la fibra di carbonio in un vero e proprio sistema strutturale di accumulo, in grado di essere integrato in componenti portanti senza aggiungere peso o ingombro. Una tecnologia potenzialmente dirompente, che oggi è pronta a fare il grande salto verso il mercato. Dalle pale eoliche alle auto elettriche, passando per i velivoli del futuro, le possibili applicazioni sembrano infinite.
Vediamo come funziona questa “batteria invisibile” che promette di riscrivere le regole dell’accumulo energetico.
Dagli aerei alle auto, passando per l’eolico
L’idea alla base delle batterie strutturali in fibra di carbonio è semplice. Si tratta di sfruttare le proprietà intrinseche di questo materiale per immagazzinare energia, senza bisogno di aggiungere componenti extra. In pratica, si tratta di trasformare elementi portanti già esistenti, come la fusoliera di un aereo o il telaio di un’auto, in veri e propri accumulatori integrati, eliminando così il peso e l’ingombro delle batterie tradizionali.
Un concetto che, se realizzato su larga scala, potrebbe rivoluzionare interi settori industriali. Prendete l’aviazione, dove il peso è da sempre il nemico numero uno. Sostituire le pesanti batterie al litio con componenti strutturali potrebbe alleggerire drasticamente i velivoli, aumentandone l’autonomia e riducendo i consumi. O ancora, immaginate le auto elettriche del futuro, con scocche-batteria in grado di garantire range elevati senza sacrificare spazio o prestazioni.
Ma non è tutto. Recentemente, i ricercatori hanno iniziato a esplorare anche l’applicazione di questa tecnologia al settore eolico. L’idea è quella di integrare le batterie in fibra di carbonio direttamente nelle pale dei generatori, trasformandole in giganteschi accumulatori in grado di immagazzinare l’energia in eccesso prodotta nelle ore di picco. Un’intuizione che potrebbe contribuire a risolvere uno dei principali colli di bottiglia delle rinnovabili, ovvero la discontinuità della produzione.
Insomma, le potenziali applicazioni sembrano davvero infinite. E a giudicare dalle promesse di Sinonus, la startup svedese incaricata di commercializzare questa tecnologia, il momento del debutto sul mercato potrebbe essere più vicino di quanto si pensi.
Ma come funziona esattamente una “batteria strutturale” in fibra di carbonio?
Per capire il principio alla base delle batterie in fibra di carbonio, bisogna fare un piccolo passo indietro e addentrarsi nella struttura microscopica di questo affascinante materiale. La fibra di carbonio, infatti, è composta da sottilissimi filamenti di atomi di carbonio allineati in una particolare configurazione cristallina, che conferisce al materiale le sue straordinarie proprietà meccaniche.
Ebbene, i ricercatori di Chalmers hanno scoperto che giocando con l’orientamento e la dimensione di questi cristalli è possibile modulare anche le proprietà elettrochimiche della fibra. In particolare, hanno osservato che fibre con cristalli piccoli e poco orientati sono ottimi conduttori elettrici, anche se meno rigidi, mentre fibre con cristalli più grandi e ordinati sono più resistenti ma meno “batteria-compatibili”.
Trovare il giusto equilibrio tra questi parametri è stata la chiave per trasformare la fibra di carbonio in un vero e proprio materiale “ibrido”. Un materiale in grado di offrire al contempo prestazioni strutturali e capacità di accumulo. Un risultato che, per quanto possa sembrare scontato, ha richiesto anni di ricerche e sperimentazioni.
Ne è valsa la pena
Oggi, il team guidato dal professor Leif Asp, una delle massime autorità mondiali in materia, è riuscito a produrre una batteria in fibra di carbonio con una densità energetica di 24 Wh/kg, circa il 20% rispetto alle migliori batterie al litio. E le prospettive per il futuro sono ancora più entusiasmanti: secondo le stime di Asp, ottimizzando ulteriormente il design e i materiali, si potrebbe arrivare a densità di 75 Wh/kg, con una rigidità paragonabile a quella dell’alluminio.
Certo, siamo ancora lontani dalle prestazioni delle batterie tradizionali. Ma il punto di forza delle batterie strutturali non è tanto l’efficienza energetica in sé, quanto la possibilità di “nascondere” l’accumulo in componenti già esistenti, risparmiando peso e volume a livello di sistema. Un vantaggio che, su larga scala, potrebbe fare la differenza in termini di costi, ingombri e autonomia.
Senza contare i benefici in termini di sicurezza. Secondo i ricercatori, infatti, la minore densità energetica e l’assenza di sostanze volatili renderebbero le batterie in fibra di carbonio intrinsecamente più sicure rispetto agli accumulatori tradizionali. Un aspetto non trascurabile, specie in applicazioni critiche come quelle aeronautiche.
Batterie in fibra di carbonio, la sfida della produzione su larga scala
Quanto tempo passerà prima di vedere le prime applicazioni pratiche di una batteria in fibra di carbonio? Il principale ostacolo riguarda proprio la produzione su larga scala. Per essere davvero competitiva, infatti, questa tecnologia dovrà uscire dai laboratori e affrontare le dure leggi del mercato, dimostrando di poter essere realizzata in modo economicamente sostenibile. Traduco: dovrà avere il giusto prezzo, il prezzo è l’unico freno serio che vedo al momento.
Arrivarci richiederà un ripensamento delle attuali filiere produttive. La fibra di carbonio, infatti, è oggi un materiale di nicchia, utilizzato principalmente in applicazioni di alta gamma come l’aerospazio o l’automobilismo sportivo. Per renderla alla portata delle applicazioni di massa, servirà un notevole sforzo di ottimizzazione e riduzione dei costi. Una sfida che però non sembra spaventare Sinonus, che si dice pronta ad affrontare il mercato con una roadmap ambiziosa e ben definita.
Gli faccio i miei sinceri auguri: se ci riusciranno, sarà un incredibile salto in avanti.
Sarà una rivoluzione fatta di pale eoliche che diventano accumulatori, di aerei ultraleggeri con fusoliere “energetiche”, di auto elettriche con scocche che fanno anche da batteria. Come diceva Arthur C. Clarke, “la fantascienza di oggi è la realtà di domani”.
Una realtà fatta di energia pulita, integrata e “invisibile”, capace di alimentare il nostro futuro senza appesantirlo. Un giorno, guardando un’auto elettrica sfrecciare silenziosa per strada o un aereo solcare i cieli, potremmo dire a noi stessi: “lo avresti mai detto che sarebbero riusciti a trasformare in una batteria la carrozzeria e la carlinga”?
E sarà solo l’inizio.