C’è un posto a Monaco di Baviera dove il confine tra spazio privato e comune si fa sottile come le pareti di un alveare. È la Clusterwohnen Wabenhaus, o Honeycomb House. Un complesso residenziale che sta attirando l’attenzione di architetti e urbanisti di tutto il mondo per la sua forma esagonale e la sua innovativa interpretazione del co-living. Ideato dallo studio di architettura tedesco Peter Haimerl, questo edificio-alveare sembra uscito da un futuristico film di fantascienza. Ma il suo design non è solo estetica: ogni dettaglio, dalle stanze a nido d’ape agli orti sul tetto, è pensato per favorire uno stile di vita comunitario, sostenibile e in armonia con l’ambiente circostante. Entriamo insieme e curiosiamo un po’.
Geometrie esagonali per un’abitare fluido e luminoso
Il primo impatto con la Honeycomb House è quasi straniante. Lo sguardo è attratto dalle linee decise degli esagoni che compongono la facciata, un pattern geometrico che si ripete in un gioco di pieni e vuoti, luci e ombre. Ma questa non è solo una scelta estetica: la forma esagonale è il cuore del concept architettonico, pensata per ottimizzare gli spazi e favorire un’illuminazione naturale diffusa.
Varcando la soglia, si scopre che ogni appartamento è composto (ma va?) da stanze esagonali, con soffitti inclinati che seguono la pendenza del tetto. Una scelta che, oltre a creare un effetto visivo dinamico, permette di sfruttare al meglio i volumi, ricavando nicchie e angoli per arredi su misura. Le pareti inclinate diventano così scaffali, divani, letti sospesi, tavoli da pranzo, in un gioco di incastri che ricorda le celle di un alveare.
La vera magia di questi spazi, però, sta nella luce. Grazie all’orientamento longitudinale delle stanze rispetto alla facciata, i raggi del sole penetrano in profondità, creando atmosfere cangianti durante la giornata. È come vivere immersi in un caleidoscopio, dove i confini tra interno ed esterno si fanno labili e la casa diventa un tutt’uno con l’ambiente circostante.
Un alveare per condividere spazi e intrecciare vite
La Clusterwohnen Wabenhaus non è solo un esperimento di design. È soprattutto un nuovo modo di concepire l’abitare condiviso, dove gli spazi privati degli appartamenti si fondono con quelli comuni in un continuum fluido. Al centro del complesso c’è una grande area di aggregazione, il cuore pulsante della comunità, dove i residenti possono incontrarsi, socializzare, condividere esperienze e fare il miele…no, scherzo.
Questo spazio è ancorato da una scenografica scala che attraversa tutti i piani, collegando tra loro gli appartamenti e le zone comuni. Attorno a questo fulcro si dipanano una serie di servizi condivisi: cucine comuni dove sperimentare la convivialità del cibo, terrazze e giardini pensili dove coltivare orti urbani e fare comunità all’aria aperta.
L’idea? Quella di creare un senso di appartenenza e di vicinato, pur nel rispetto della privacy di ciascuno. Gli appartamenti, che vanno da uno a quattro locali, sono pensati come cellule indipendenti ma permeabili, che si aprono alla dimensione collettiva senza rinunciare all’intimità domestica. Un equilibrio delicato, reso possibile da un’architettura che plasma gli spazi in modo fluido e organico.
Sostenibilità e innovazione costruttiva
La scelta di ridurre le pareti in favore di superfici inclinate mi ha spiazzato. Sono sincero. Ci ho messo un bel po’ a dire a me stesso “perchè no?”. Il cuore ancora tentenna, ma razionalmente sono stato conquistato al 100% da questa logica di alveare. Non risponde solo a esigenze estetiche e funzionali, ma anche a criteri di economia e di risparmio energetico. Se aggiungete le ampie superfici verdi sui tetti e nelle aree comuni, che oltre a favorire la socialità e il contatto con la natura, contribuiscono a migliorare il microclima e a ridurre l’impatto ambientale dell’edificio, avrete un mondo nuovo. Un approccio olistico alla sostenibilità, un modello virtuoso di architettura green.
Avrete più di un edificio: avrete un manifesto politico. Una dichiarazione di intenti su come potrebbe e dovrebbe essere l’abitare del futuro: più condiviso, più sostenibile, più in armonia con l’ambiente e con la comunità. Un modello che, pur nella sua unicità, lancia una sfida a ripensare i paradigmi consolidati dell’housing urbano.
Certo, non è un concept replicabile ovunque e per chiunque. Richiede una certa disponibilità a mettere in discussione l’idea tradizionale di privacy e di proprietà, ad abbracciare uno stile di vita più aperto e partecipativo. Ma forse, in un mondo sempre più interconnesso e in cerca di nuovi equilibri tra individuo e collettività, la casa alveare indica una strada possibile. Una strada fatta di geometrie inedite e di spazi fluidi, di condivisione e di sostenibilità. Una strada che trova nella collaborazione e nell’organizzazione la chiave per costruire habitat più efficienti, più resilienti, più adatti alle sfide del nostro tempo.
In fondo, se le api sono maestre nel creare società complesse e altamente funzionali a partire da semplici celle esagonali, forse anche noi umani abbiamo qualcosa da imparare da loro. E la Honeycomb House sembra proprio un buon punto di partenza per farlo.